Avete visto il video della bambina che picchia il fratellino per insegnargli il rispetto per il dolore degli altri?
Succedesse qualcosa di simile fra due fratellini italiani scoppierebbe una tragedia nazionale di dimensioni grottesche.
Siamo ormai talmente oltre ogni buon senso educativo da scatenare tragedie per uno schiaffo tirando in ballo, quasi sempre a sproposito, Freud con tutta la sarabanda di psicologia domestica da quattro soldi spacciata per buona via world wide web.
Psicologia un tanto al chilo che vede negli schiaffi solo l'aspetto "violento", mai quello educativo e formativo che deve accertarsi che alcune lezioni fondamentali sul rispetto siano comprese bene e una volta per tutte da ogni infante fin dal momento in cui si affaccia per la prima volta all'asilo.
Eppure, da quando esiste il mondo, l'educazione è così fondamentale per la convivenza sociale che nessuna lezione può escludere, dove necessario, quella che passa per il dolore.
Anche fisico, se serve.
Due sculacciate ben assestate faranno anche male all'autostima di un bambino, ma di sicuro gli insegna che picchiare qualcuno non è un gioco e che se non recepisce l'importanza di un tale divieto scatta il dolore di quella sculacciata che non glielo farà più dimenticare.
Ma siamo diventati tutti troppo "civili", così educati da non educare i bambini passando dove necessario anche per la punizione fisica, ritenendola sbagliata e umiliante per il bambino sempre e comunque, da abdicare a qualunque azione efficacemente educativa: il facile perdono, e la sottovalutazione del proprio ruolo, sta crescendo dei barbari di ritorno piuttosto preoccupanti.
Al punto che a gennaio di quest'anno, dei ragazzini delle medie non hanno esitato a legare mani e piedi a un loro compagno di classe con le corde in uso nella palestra scolastica, per poi più agevolmente frustarlo ridacchiando fra loro della loro "bravata", mentre il povero ragazzino a terra piange e si dimena inascoltato e indifeso anche dagli altri compagni che assistono.
Il tutto succedeva a scuola, dove evidentemente i ragazzini restano inosservati dagli adulti per tutto il tempo necessario a prima legare mani e piedi al ragazzino e poi a frustarlo, prima che qualcuno intervenga.
Il problema che gli adulti coinvolti (genitori e insegnanti) in questa terribile vicenda si ponevano era, nel caso fosse "la cosa fosse accertata", quale fosse la punizione più adeguata ai frustatori fra 2 opzioni: un 6 in condotta o 15gg di sospensione, pena massima prevista.
Che lezione impareranno mai da simili punizioni?
Il ragazzino in questione è di origini marocchine ma nato in Italia, da genitori che vivono e lavorano in Italia da vent'anni.
Non stiamo qui parlando né di immigrati né di clandestini ma di uno dei tanti esempi di come l'Italia e il Veneto abbiano saputo accogliere e integrare immigrati senza alcuna necessità di cooperative e mafie capitali "che rendono più della droga", quando sugli immigrati non speculava la politica né il buonismo ci dispensava facili lezioncine sull'accoglienza indiscriminata.
Prima dell'episodio delle frustate in palestra, lo stesso bambino era stato vittima degli stessi ragazzini i quali, rubatagli il telefono e da lì l'identità su Facebook, l'avevano fatto dichiarare di essere omosessuale, cosa che aveva scosso profondamente non solo il ragazzino, come la famiglia un mussulmano osservante, ma parenti e conoscenti che hanno faticato a capire che qualcuno potesse aver fatto una cosa simile per il solo gusto di uno scherzo demenziale.
Nel leggere la notizia mi tornavano alla mente certe scene disturbanti di Radici, cioè quelle scene dove appunto il padrone bianco frusta lo schiavo nero fino a scorticarlo vivo convinto che, essendo non umano, andava frustato come si frustavano allora i cavalli e le bestie da soma (all'epoca, e forse ancora oggi, gli schiavisti erano davvero convinti che i neri fossero poco più che bestie e che quindi non sentivano dolore. Per dire il livello di disgustosa ignoranza di certi "padroni").
Questi ragazzini che legano e frustano un compagno di classe esprimono forse qualcosa di cui nemmeno sono consapevoli, una barbarie che ritenevamo finita e dimenticata almeno nel bianco occidente perbenista e buonista che oggi i neri africani li va sì a prendere con le navi, ma solo per usarli per far girare milionate di euro sul business dell' accoglienza venduta, sia a loro che a noi, come atto di generosità dai contorni talmente ambigui da far sospettare che il fare affari con il traffico del "buon selvaggio" sia non meno ributtante di quanto lo fosse quando gli affari li facevano le vecchie navi negriere: in modo più velato, le condizioni di permanenza del "buon selvaggio" sono ancora quelle che prevedono che questi si debba guadagnare poi il pane lavorando gratis per chi lo sfama e lo veste, mantenendo con le imprese dell'accoglienza migliaia di volontari a pochi euro al mese e parecchie imprese che si occupano di rifornire pasti, abiti, servizi, stanze in hotel altrimenti vuoti o capannoni altrimenti abbandonati (con l'occasione si ricicla tutto il dismesso, dagli abiti all'hotel, dal cibo scaduto ma ancora buono, per i poveri e i derelitti ai capannoni vuoti che costa buttare giù).
Questi ragazzini frustatori forse nemmeno si rendono conto di aver messo in scena qualcosa che aleggia fra i molti italiani che confondono il destino dei migranti accolti con le responsabilità di chi sull'accoglienza campa o ha obiettivi non dichiarati che non possono che allarmare proprio perché taciuti.
Eppure, per quanto inconsapevoli del significato raccappricciante del loro gesto, questi ragazzini avrebbero bisogno di una lezione esemplare che faccia da monito a tutti, adulti e bambini confusi.
Un sei in condotta non è una punizione, è un lavarsi la coscienza che non inciderà per nulla come lezione a tutti gli altri bambini che, per quanto scossi, hanno assistito alla scena senza ribellarsi e senza provare a impedire che accadesse: questo immobilismo adolescenziale va scosso ed educato alla reazione, prima che si trasformi in passività di fronte a qualunque ingiustizia cui assistono.
Non sono sufficienti 15 giorni di sospensione ad assolvere dalle proprie responsabilità insegnanti e genitori i quali, evidentemente, non hanno dispensato mai quei ceffoni di buon senso educativo che la ragazzina cinese del video, senza star troppo a filosofeggiare e a psicologizzare l'infanzia, ma andando con decisione al punto quando un bambino dimostra di non capire dove sono i confini fra l'essere protetto dal dolore e il lasciarlo praticare sugli altri senza averne mai avuto un assaggio nemmeno per sbaglio.
Due sberle, a questi frustatori imberbi, magari è arrivato il momento di rifilargliele.
A meno che non si voglia passare alla legge del contrappasso per cui, legati mani e piedi con le stesse corde della palestra, vengano frustati pubblicamente dal genitore e dal ragazzino frustato che già aveva dovuto ingoiare l'offesa del dileggio via Facebook in cui, gli stessi, lo avevano indicato ad amici e parenti come omosessuale.
Sono cose che scavano buche profonde più di dieci sberle, in un adolescente.
Non si può perdonare e, a chi manifesta confusione sul rispetto dell'integrità fisica e psichica dell'altro, un assaggio pratico di ciò che si prova potrebbe insegnar loro finalmente cosa sia il rispetto.
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