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martedì 31 luglio 2018

I lavori infernali e le angurie

Visto che a me, che posso ripararmi al fresco, sembrano insopportabili i 33°/35°esterni di questi torridi giorni, voglio dedicare un pensiero a chi è costretto a lavorare in ambienti dove non solo non esiste l'aria condizionata, ma viene pure, al solito, preso per i fondelli se chiede almeno qualche minimo ristoro.
Ad esempio, agli operai della Electrolux che chiedono di potersi fermare pochi minuti ogni ora per il caldo infernale in fabbrica, vengono offerte fette di anguria ma no, la produzione non s'ha da fermare:
Tutto è nato dai 32 gradi di temperatura nei locali di lavoro, in particolare nelle “catene”. È così partita la richiesta di inserire pause di dieci minuti in ogni ora di lavoro oppure, in alternativa, di ridurre i ritmi produttivi. L’azienda ha replicato offrendosi di far trovare una fetta d’anguria a testa in sala-mensa. Replica sindacale: “Non se ne parla nemmeno. A tutela della salute de lavoratori non bastano le angurie”.Da IlFQ
Soluzione dei sindacati? Un'ora e mezza di sciopero a turno. 
Quella dello sciopero è ormai diventata la sceneggiata che il sindacato mette in piedi per ogni problema che viene posto dagli operai. Il senso di questi scioperi, secondo me (che sono ormai malefica), è quello di far sbollire la giusta rabbia agli operai, offrendo loro l'alternativa di rimetterci di tasca loro, ché lo sciopero significa mancato guadagno, non il raggiungimento dell'obiettivo più fresco e meno angurie. 
La pausa di pochi minuti ogni ora non è invece risultata trattabile; forse perché una pausa non è uno sciopero e le ore te le devono poi pagare per intero. E non va bene.
Così sciopero: chi si lamenta è preso per i fondelli prima dalla proprietà (la fetta d'anguria) e poi cornuto e mazziato dal sindacato (lo sciopero).

L'altro pensiero torrido va in questi giorni agli operai delle Acciaierie Venete. 
Ve li ricordate?
Hanno ripreso a lavorare a metà dello scorso giugno dopo che lo Spisal, analizzata la situzione sicurezza, ha stabilito che insomma, bisogna che gli operai siano fuori dalla campata quando arriva la siviera con quelle 90Tn di acciao fuso a 1600°, Perdìo!
(Dove sia stato a fare verifiche lo Spisal fino al 13 maggio è un mistero)
Così hanno fatto un bel corso sulla sicurezza agli operai (come se la rottura del gancio della siviera che ha sversato l'acciao liquido mandando al creatore un operaio, un altro ancora in serie condizioni all'ospedale e altri due ancora in convalescenza, fosse dovuta a disattenzione degli operai) e provvista ora la campata di una irritante sirena che suona per avvisare gli operai che lì lavorano di scappare in zona sicurezza ogni volta che è in arrivo sopra le loro teste la siviera piena di acciaio fuso. 
Sirena che suona circa 20 volte sul turno di 8 ore. Il che significa per gli operai lavorare con ulteriore stress e ansia, perché qualunque cosa stiano facendo, al suono micidiale devono mollare tutto e scappare in sicurezza. Per poi tornare a fare ciò che stavano facendo e tornare a scappare di nuovo di lì a circa 20/25'. Tutto così, uno scappare e tornare, per 8 ore a turno.
E il tutto in un caldo da inferno in terra.
"Ma ci sono le angurie?", chiedo scherzando a un operaio delle AV.
In una acciaieria dove la temperatura in estate supera i 40/45° ci sono solo due fontanelle che erogano acqua fresca. Ci sono poi dei rubinetti, ma sono stati chiusi, così l'acqua che ne esce è a temperatura giusta per fare le uova sode, cioè proprio bollente. I distributori di bottiglie d'acqua a pagamento sono invece sempre pieni. Chissà perché...Business?
In questa settimana di caldazza ricordarmi degli uomini che lavorano all'inferno mi pare un dovere: io mi lamento per quei pochi minuti fra un ambiente fresco e l'altro.
Loro non possono nemmeno avere angurie o acqua fresca abbondante e gratis.

Pensate a quelli che stanno lavorando alla terza corsia sul tratto Ve-Ts, per dirne un altro: auto che sfrecciano e sgasano nella corsia a fianco, mentre loro spalano e livellano bitume che esala fumi da stordimento immersi in una calura che mi manderebbe al creatore nel giro di pochi minuti.
Quanti gradi saranno lì, in mezzo all'autostrada?
Angurie, lì, ne arriveranno?  
I sindacati, venissero per caso interpellati da questi lavoratori, sono certa proporrebbero subito un paio d'ore di sciopero in chiusura turno, così che i lavori proseguano accontentando la società che fa manutenzione, e facendo subito sbollire ogni pretesa di fresco agli operai nel giro di 24h: ma chi vuoi che scioperi, rimettendoci soldi a fine mese, per ottenere di continuare comunque a lavorare alle stesse identiche infernali condizioni?
Sono perversi, è il loro lavoro essere perversi.

Va detta comunque una cosa: ci sono lavori che sono così, infernali e basta, roba per uomini davvero forti.
Però le prese per i fondelli no, almeno queste si dovrebbe avere il buon gusto di risparmiarle a chi lavora col bitume sotto al sole, o in un'acciaieria a 45° o in fabbriche a 32°.
Davvero, almeno il rispetto.

martedì 10 ottobre 2017

Traditi e mazziati

Che votare non sia più che una sorta di reality nazional-popolare trova ulteriore conferma nelle odierne dichiarazioni del Governo Puigdemont in Catalogna.
Forse che sia lui che Rajoy non sapevano entrambi che si trattava di una sfida fra loro per testarsi i reciproci muscoli? 
Uno, il secondo, li ha mostrati fin da subito tirando cazzotti direttamente sui votanti. L'altro, appena il giorno dopo un a mio avviso deludente risultato elettorale, dichiarava di voler aprire al dialogo, rendendo così le botte alle vecchine e le dita rotte alle donne buttate giù dalle scale nei seggi, un prezzo accettabile per arrivare al "dialogo".
Che per il Sì abbia votato circa il 90% dei votanti, quando a votare sono andati appena circa il 39% degli aventi diritto, pur tenuto conto delle difficili condizioni oggettive, era di per sé misura del fatto che la maggioranza dei catalani non era per l'indipendenza che il referendum chiedeva. 
Quindi, appena poche ore dopo l'inutile massacro, gli indipendentisti spinti al voto su basi democratiche fragilissime (per me un referendum senza quorum è una bestialità), erano belli che traditi.
Quella di stasera non è che la dichiarazione ufficiale di quel tradimento giocato, come purtroppo sempre più spesso accade, sulla testa di chi crede ancora che l'Unione Europea sia la salvezza e siano possibili cambiamenti democratici grazie al voto.
Ma dove?
Non lo è più in Italia dal Referendum sull'Acqua Bene Comune: votarono il 54% degli aventi diritto, e i Sì vinsero con il 94% dei voti. A urne ancora calde quel risultato fu azzerato nei fatti con una legge che ne vanificava l'esito. Non era gradito all'UE, che sulle privatizzazioni dei servizi pubblici aveva un'agenda diversa, prontamente sposata dai governi che si sono succeduti di lì a un paio di mesi.
Referendum tradito e 1-0 per politiche UE.
Mi astengo da ogni ulteriore valutazione su ciò che è successo dopo di allora, e pure su ciò che sta accadendo in Italia in queste ore: se il voto non ha più importanza, diciamo che per i politici ne ha una strategica: far pagare ai contribuenti dei sondaggi su larga scala che servono solo per misurarsi il pisello fra loro.
In Grecia, il Referendum del luglio 2015 che chiedeva se accettare o no il piano proposto dai creditori internazionali per il rientro del debito (v. Troika), vinse il No con il 61,31% dei voti.
Festa in piazza con Tsipras trionfante e già con il coltello del tradimento nascosto dietro le spalle: andò a trattare quel risultato con Bruxelles e tornò a casa accettando quel piano che i greci avevano respinto alle urne.
Capite com'é la cosa? 
I risultati elettorali o refendari non contano nulla, si va sempre a trattare a Bruxelles pur avendo i numeri per decidere, se si potesse decidere, ed evidentemente non si può: è Bruxelles a dire l'ultima parola, non i cittadini che si illudono che conti votare.
Stessa cosa con il risultato catalano (che comunque per me non era valido, ma così però lo si è voluto far intendere ai catalani che le hanno prese in testa pur di poter dire la loro): Puigdemont dichiara il risultato valido, vanta una maggioranza che non ha in virtù del fatto che aveva dichiarato prima che l'indipendenza sarebbe stata dichiarata anche senza che le urne raggiungessero il quorum, lì non previsto (e a me 'sta cosa pare un filino fascista, o staliniana, se volete), tranne il giorno dopo "aprire al dialogo" con la stessa Madrid che il giorno prima gli ha massacrato la popolazione a manganellate e stasera stessa, prima di fare dichiarazioni, si consulta con Bruxelles (che evidentemente sta dietro le quinte anche quando tace e non da segno di sé).
Poi, e questo la dovrebbe dire tutta sull'ambiguità del governo catalano (ambiguità non dissimile a quella praticata in Italia o in Grecia), di fronte ai suoi cittadini, oggi, dichiara: "...assumo il mandato del popolo perché la Catalogna si converta in Stato indipendente di forma repubblicana", tranne aggiungere che ne sospende l'attuazione per aprire al dialogo con Madrid, la quale ha già chiarito che non c'é dialogo possibile visto che per lei il referendum "non c'é mai stato".

I catalani in piazza stasera, silenziosi davanti ai megaschermi, mi hanno ricordato (purtroppo) i greci del No nel 2015: muti, come si ammutolisce di fronte ai peggiori tradimenti che non ti aspetti.

Visto che siamo in tema Referendum, chiarisco anche che a quello per l'Autonomia del Veneto andrò a votare.
Non perché sono leghista, pur apprezzando il leghista Zaia più di quanto abbia mai apprezzato Galan, ma perché credo che questi referendum vanno ormai vissuti e partecipati non tanto per quel che chiedono e mai ottengono, ma perché lo considero un sondaggio per prendersi anche noi somari le misure da totali impotenti su ogni altro fronte: votare per la maggiore autonomia del Veneto (cui aderisce anche buona parte del Pd, e già questo è sospetto e segno di un tradimento in fase di cova pronto ad azzerarlo comunque vada il giorno dopo), è il solo modo di esprimere pubblicamente un mal di pancia che si fa più acuto ogni giorno che passa.
Mal di pancia che non ha nulla a che fare con nessuno e niente, e ha a che fare con tutto.
A voi non passa mia l'idea che si sia andati talmente oltre ogni possibile malata immaginazione per poter davvero fare/contare ancora qualcosa?
A me sì, sento che la gabbia si sta chiudendo e i pochi pertugi aperti sono comunque presidiati da sentinelle armate e circuiti elettronici.
In piazza non ci si può andare, ché a prendere legnate certe una non ne ha più voglia.
Dire sul blog, su Twitter o nei forum che tutto ormai mi schifa ma tutto è ormai troppo tardi per essere rimediabile "democraticamente" o "politicamente", mi attira ormai solo frasi fatte in max 140 caratteri: "Fascista!", ecc. 
Ovviamente da parte di chi del fascismo non ha ancora capito se non lo slogan né tantomeno ha ancora capito di vivere in un paese in mano a stalinisti autentici, abilmente riverniciati ma similmente perversi e altrettanto feroci nella loro paranoica perversione.

Vado a votare per dirmi che anche sapere quant'é la gente che in Veneto e Lombardia è incazzata e impotente, per null'altro che questo.
Vince Zaia? Ben per lui: è su molte cose, come dicevo, più "compagno" di sinistra di certi marpioni sinistrati veneti che fanno gli antifa nell'week-end ma applicano la legge del lager negli altri cinque giorni della settimana.
Perde Zaia? Non sarebbe un tragedia né per lui né per i veneti, che mussi* sono e mussi restano.
A cosa serve allora?
A trattare con Bruxelles, no? Cioè, a trattare con Roma che tratta con Bruxelles.
Per ottenere cosa?
Forse qualche euro in più per asfaltare le strade del Veneto o per finanziare qualche bretella autostradale in Veneto, nulla di più.
Però, si va e poi si sa quanti sono gli scontenti lombardi e veneti.
Tutto qui.
L'unico modo per non essere traditi è evitare di innamorarsi di qualcuno. O di qualcosa. 
Fare il minimo, e solo per aiutarsi a capire meglio... 

P.S. 
Segnalo questo pezzo su Contropiano che sul tema Catalogna, Referendum e valore del voto in UE, arriva più o meno alle stesse mie conclusioni.

*mussi = asini (ma anche somari) venessìani

martedì 19 luglio 2016

Isole

Sul Fatto del 19 luglio  

“Erdogan sevizia oppositori
Alfano blocca reato tortura”

Italiani avvisati, mezzo salvati. Tanto per essere chiari: dopo Genova 2001, non era molto difficile capire la piega che i democratici paesi Nato e pure globalisti avrebbero preso.
Basta poi ascoltare il silenzio qui e là infarcito da mugugni e balbettii, per avere la certezza che Erdogan ai leaders europei fa si un po' schifo, fa sì un po' impressione, però solo a momenti.

Poi si ricordano che così come non è Erdogan in persona a fare il lavoro sporco, così non saranno mai loro a doverlo fisicamente fare. Hanno speso fior di quattrini per far fare studi di settore approfonditi alla ciurma specializzata in torture democratiche, no?

Sono in un'isola della Croazia, e sto meditando di chiedere asilo politico al mio ospite: s'é tirato su una casetta con quattro pietre, di mattina va fuori a pescare il pesce che poi si cucina la sera. Dietro casa ha pomodori, melanzane, un albero di prugne e uno di fichi.

Barattando fichi, prugne e pomodori con uova e formaggio, si può vivere con niente.

In più, le isole hanno questo di bello, compresa quella dove sto: sono rifugi perfetti contro i pirati, di qualunque razza siano.

C'é in alto, salendo un ripido sentiero che porta in cima a un colle dove sta una chiesetta spartana e antica, un gruppetto di 4/5 case di pietra, ormai abbandonate. E la storia racconta che qui si rifugiarono i locali antenati del mio attuale ospite per resistere ai veneziani, un bel po' di anni fa.

Capre che danno latte e formaggio consentono di resistere a lungo.

I torturatori che l'Unione Europea e la Nato non aggrediscono militarmente per riportarli alla democrazia sono la dimostrazione che i dittatori veri l'UE li salva, gli fa la guerra solo se non spartiscono il bottino.

I pirati erano più trasparenti nelle loro politiche di "integrazione".

Meglio le isole, in qualunque senso.

 


venerdì 14 marzo 2014

Leggendo Londra - Una biografia

"...vi sono tratti del Tamigi che si impegnano ad allontanare i visitatori. La stessa Wapping era difficile da trovare, con la sua via principale che correva fra le alte mura dei vecchi magazzini, mentre le strade vicine parevano nascondersi dietro a gasometri e casermoni."
Mentre leggevo queste poche righe in cui l'autore descrive la zona del Tamigi agli inizi del 1900, mi scorrevano davanti agli occhi gli attuali "gasometri e casermoni" dislocati lungo arterie periferiche di molte nostre città dove (forse), l'unica differenza è che si tratta non di un Tamigi raccoglitore di tutte la storie umane e commerciali della città fin dai tempi più remoti, ma di recenti autostrade e circonvallazioni lungo le quali l'occhio raramente incontra altro che capannoni in cemento, casermoni di abitazioni popolari dall'architettura simil-sovietica o anonimi (per questo dai nomi roboanti), mega centri commerciali dai parcheggi sempre più deserti e abbandonati a se stessi.
"E' sempre stata una zona senza legge, fuori dalla giurisdizione cittadina, ma il suo abbandono all'inizio del secolo fu pure il riflesso del vergognoso sistema di lavoro a termine dei docks; folle di uomini in cerca di lavoro si ammassavano ai cancelli, dove solo pochi venivano scelti. Gli altri ricadevano in quella vita di povertà, alcolismo e alienazione tanto ben documentata..."E' veramente uno spettacolo che rattrista anche i più insensibili", secondo Henry Mayhew, "vedere migliaia di uomini lottare per un giorno di lavoro...Guardare i volti di quella folla affamata significa avere una visione indimenticabile...Per settimane molti sono andati là, e passati per la stessa lotta, le stesse grida; e sono tornati via, alla fine, senza il lavoro per il quale hanno reclamato". 
Il paragrafo chiude ricordandomi come forse l'unico periodo di traballante benessere sociale inizia con la conquista del diritto dei lavoratori a un salario congruo e continuativo, e finisca fatalmente ai giorni nostri, riportando "gli uomini in cerca di lavoro "ad ammassarsi ai cancelli" per tornare i più a quella "vita di povertà, alcolismo e alienazione ben documentata". 
Il Tamigi (come ogni elemento che resiste al tempo dei nostri paesaggi urbani), è il testimone silenzioso di tutte le temporanee glorie e di tutte le persistenti ingiustizie patite dall'uomo:
"Così il Tamigi, il padre del commercio, è anche il più visibile ricettacolo della miseria che i princìpi commerciali possono imporre".
Potremmo dirlo oggi di autostrade e circonvallazioni sempre più deserte, di centri commerciali e rotatorie dove l'erba inizia a crescere selvaggia, di fiumi interrati o cementificati che alla prima pioggia si vendicano rendendoci in un paio d'ore tutta l'acqua che qualche genio idraulico pensava di addomesticare, dimenticandosi che i fiumi continuano a scorrere anche molto dopo che sono scomparsi alla nostra vista.

Oggi siamo come davanti a uno specchio, costretti a sceglierci un destino a ritroso nel tempo oppure un'altro, completamente nuovo e costruito sulle tante lezioni che la storia ancora non ha completamente sepolto alla nostra memoria.
Ci lasceremo cementificare gli argini, accettando di scorrere dentro alvei predeterminati continuando a scorrere silenziosi sotto il cemento e confidando in una provvidenziale pioggia per riemergere?
O riusciremo invece a trovare in noi il coraggio di opporre al cemento (fisico e metafisico), una ostinata non collaborazione a rispettare leggi ingiuste create e imposte da chi per primo non le riconosce consone ai propri immeritati privilegi?
Se è vero che tutte le nuove attuali leggi rispondono a una logica "di mercato" (lavoro, scuola, salute, cultura, ambiente, pubblica amministrazione e perfino Parlamento, etc), il rispettarle è accettare di essere solo quel "capitale umano" di cui il mercato determina il valore e su cui è in atto una pesante speculazione ribassista.
Ci disprezziamo davvero fino al punto da voler essere noi giusti con il potere anche sapendo che non è la giustizia, l'obiettivo di questi potenti senza morale, ma il mero profitto, spesso solo personale?

Se sì, Wapping è appena dietro il nostro angolo, in una strada già asfaltata che non si vede ancora ma che farà di molti di noi solo egli ex umani che accettano di poter sopravvivere come topi, in cerca di lavoro e ammassati ai cancelli per tornare, i più, a una vita di povertà, alcolismo (o psicofarmarci, che è uguale) e alienazione ben documentata".

Citazioni da Londra, Una Biografia - di Peter Ackroyd - Ed. Neri Pozza

mercoledì 21 settembre 2011

Contro la Secessione

Il popolo è sempre sovrano e quindi è l’unica figura che è sempre sopra il Capo dello Stato”: lo ha detto stamane il capogruppo alla Camera della Lega, Marco Reguzzoni, intervenendo a “La telefonata” di Maurizio Belpietro su Canale 5 per commentare la presa di posizione di Giorgio Napolitano sull’ipotesi secessione prospettata da Umberto Bossi alla festa del carroccio a Venezia." Da Il Fatto Quotidiano...

Commenta Elessar (fra i primi 72 commenti al pezzo linkato):
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita NELLE FORME E NEI LIMITI della Costituzione”.
Reguzzoni, le regole vengono prima del consenso. Che tra l’altro avete perso.
Non credo sia troppo pretendere che i parlamentari conoscano almeno la Costituzione italiana."


Semplice e preciso.
Basterebbe questo, no?
Che per trovare un minimo di senso civico si debba ormai spulciare fra i commenti alle notizie, è la misura di come siamo messi.
Per ottenere quella "coesione sociale" cui pare tenere tanto, il Capo dello Stato non avrebbe bisogno di dire di più.
Sbaglio?
Non è questo che dovrebbe fare?
Ricordare a tutti, ogni volta che si renda necessario ricordarlo, che ciò che tiene coeso un paese è proprio il riconoscersi nelle regole comuni, cioè (appunto) nella Costituzione.
Ciò che lo divide non è tanto la presenza di leghisti secessionisti, che se fosse loro ricordato essere la secessione un reato punito dall'art.241 del C.P.* sarebbero già tutti in galera o zittiti per sempre.
E neppure quella dei politici politicanti che si riconoscono solo come Casta, come società a sé, non più (evidentemente) come cittadini temporaneamente incaricati di rappresentarlo.
Il Paese è diviso perché non c'è nessuno che, avendone l'obbligo, senta doveroso ricordare il rispetto di quella Costituzione.
Se devono essere i cittadini a ricordare al Capo dello Stato che non è in alcun modo sufficiente richiamare alla coesione dei Ministri della Repubblica che disconoscono la Costituzione che dovrebbero servire, significa che lo Stato non è più rappresentato nei fatti.
E che gli unici ad aver memoria delle regole comuni riassunte nella Costituzione, sono appunto quei cittadini che non smettono di chiedere che venga rispettata.

Basterebbe sentire il Capo dello Stato dire questo.
Sarebbe già un segno.
Un segno che invece non ricordiamo più e che costringe, come cittadini, a farci carico di mantenere viva una Costituzione che pare defunta, oltre che per la Casta, che la manipola e la reinterpreta per difendere se stessa e i propri immeritati privilegi, anche per conto di un Garante delle Istituzioni che non garantisce che farlocche reprimende - che non significano assolutamente niente - anziché denunciare un reato di cui all'art. 241 C.P. aggravato in quanto il fatto è commesso con "violazione dei doveri inerenti l'esercizio di funzioni pubbliche".

* «Art. 241.

martedì 20 settembre 2011

Niente secessione:non è il momento (pare).

"Di fronte all'emergenza della crisi, "agitare la bandiera della secessione significa porsi fuori della storia, della realta' e dell'indispensabile impegno comune per fare fronte alla situazione". Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano" (leggi qui)

(Durissimo)

Poi però mi si chiarisce:
"Riferendosi indirettamente a Standard and Poor's il Capo dello Stato ha voluto sottolineare che "i dati non rimpiccioliscono il Paese". Infatti "siamo una grande economia, una societa' molto vitale". Ma questo "deve essere messo a frutto con scelte appropriate e il piu' possibile condivise".

Letale, quella sulle scelte condivise.

(Avercela, un'opposizione "divisa", caro Lei)

Quasi quasi rimpiango il picconatore.

(Almeno sui reati era ferratissimo).

domenica 18 settembre 2011

A Venezia!

Ieri pomeriggio circa migliaio di persone si è riunito davanti alla Stazione di Venezia per dare vita a una manifestazione anti-Lega.
Al corteo, autorizzato, partecipavano Sel, Rifondazione, Pd insieme a Centri Sociali e a molti comuni cittadini.
Il programma prevedeva di raggiungere Riva Sette Martiri sfilando dalla Stazione lungo la Strada Nova e fino a San Marco ma, incomprensibilmente, è stato loro imposto di deviare il tragitto dalla Stazione e solo fino a Campo Santa Margherita, campo chiuso che si trova a pochi minuti dalla stazione, e impediti a proseguire da un cordone di polizia in tenuta anti sommossa.
I manifestanti, irritati per l'incomprensibile divieto, visto che la annuale manifestazione leghista - la Festa dei Popoli Padani - è in calendario per oggi e non c'era quindi alcun rischio per l'ordine pubblico, hanno tentato di forzare il cordone di polizia pacificamente e con le mani alzate.
Respinti a manganellate, hanno chiesto l'intervento del Sindaco Orsoni il quale ha chiamato il Prefetto affinché sollecitasse il Questore di Venezia a consentire la manifestazione pacifica.
Non è servito a nulla: il Questore prende ordini solo dal Ministero degli Interni.


I manifestanti hanno tentato allora di forzare una seconda volta il blocco di polizia ma sono stati nuovamente caricati e solo a quel punto hanno reagito difendendosi con i bastoni degli striscioni e delle bandiere, come si vede al video sotto


Sono comunque stati respinti verso la stazione dove, un centinaio di loro, ha occupato i binari bloccando il traffico ferroviario per circa 1 ora.


Pare vi siano stati 11 feriti fra i manifestanti e forse altrettanti fra le forze dell'ordine.
Queste le premesse alla manifestazione leghista che fra poche ore invaderà Venezia, come ogni anno protetta anche dal rischio di trovare esposta ai balconi una bandiera italiana, che com'è noto, è da considerarsi simbolo reazionario da far rimuovere dalle forze dell'ordine o da "buttare nel cesso", come ebbe a consigliare Bossi nel 1996 a una coraggiosa veneziana che osò esporre la bandiera al suo balcone, proprio in Riva Sette Martiri.
Nei tg nazionali, i veneziani non leghisti non li vedrà mai nessuno.
Venezia sembrerà anche quest'anno, nelle immagini trasmesse a tutti gli italiani, una città leghista dove sventolano solo bandiere verdi con il sole delle Alpi.
Chi non vive a Venezia ha finito con gli anni per convincersi che davvero Venezia e tutto il nord-est sia terra di leghisti.
Ma non è così: i leghisti sono e restano una minoranza, protetta politicamente dal Monviso a Venezia, che può permettersi, come è successo alla loro manifestazione a Venezia del 2009, di picchiare a sangue un barista e sfasciargli il locale solo perché colpevole di non essere "padano" ma albanese.

Già stamattina di ciò che a Venezia è successo ieri non se ne parla che in fondo ai quotidiani, come si trattasse di un fatto marginale e, per capire in che contesto vive un veneziano non leghista, invito a leggere i commenti sotto alle notizie riportate ieri sul Gazzettino di Venezia.

giovedì 17 marzo 2011

150°

150°

Se qualche anno fa qualcuno mi avesse chiesto se essere italiana per me significasse qualcosa, mi avrebbe trovata impreparata a una risposta.
Credo sia questa, la cosa che mi offende di più, oggi: scoprirmi a difendere un’unità nazionale e una patria che mi parevano cosa fatta al punto da potermene dimenticare.
Prima che comparisse sulla scena il leghista con scolapasta e insulti alla bellezza del Nabucco, a me di vivere in Italia o di sentirmi italiana, non importava assolutamente niente.
Ora mi sento un’esule.
Straniera, quando vado all’edicola e fingo di non sentire i commenti di un paio di leghisti che tagliano il mondo tondo con la squadra e pesano le persone in base al colore..
Extracomunitaria, quando fingo di non ascoltare alcune colleghe buttare a mare esseri umani come fossero scarpe smesse e vorrei solo fare a pugni e invece parlo del tempo per amor di civiltà.
Mi sento in guerra contro di loro ogni volta che leggo l’ultima di un’interminabile sequela di offese che mi fan venir voglia di ritirarmi dietro una barricata con il fucile, tanto mi sento personalmente minacciata e non difesa nemmeno da chi mi è teorico e anemico amico.
Mi sento sotto assedio al punto da vivere questi festeggiamenti per il 150° dell’Unità come fossero pochi giorni di Liberazione Nazionale, gli unici in cui mi è consentito esibire la mia italianità per loro gentile concessione.
E’ come se sentirmi italiana mi fosse un obbligo imposto dalla presenza di un’invasore, più che un sentimento autentico che non ho mai avuto esigenza di provare, prima di loro.
Potevo dimenticarmi di essere italiana in un'Italia Unita finché questo paese era già unito per tutti, senza bisogno di farci una Festa per ricordarlo.
Questa gente ora, con la mia bandiera, ci si vuole pulire il culo.
Così mi tocca amare quella bandiera per sottrarla ai loro insulti.
Difendo un Inno di Mameli, mai amato prima, perché mi è intollerabile sentirlo offeso da Ministri, da Amministratori Pubblici, da Sindaci che questa Italia la governano pur non riconoscendola e nonostante abbiano (sper)giurato di difenderla su una Costituzione in cui non credono.
Così oggi, Festa dell’Unità d’Italia, mi sento come fossi una veneziana  ai tempi dell’occupazione austriaca: mi pare di festeggiare una semilibertà a tempo, una concessione dell’occupazione nemica che solo per oggi si finge generosa distraendosi.
Festeggio perché mai come oggi so che festeggiare è essere in lotta contro di loro, i leghisti, più che perché senta la necessità di dirmi italiana.
Italiana lo sono sempre stata, soprattutto fino a quando non dovevo far festa per dire di esserlo.