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sabato 11 settembre 2021

Riassunto

 

giovedì 15 luglio 2021

Corsi e ricorsi

 Ieri, 1938...

Oggi, 2021...(v. ultimo punto)

Siamo forse in attesa di una riedizione del famigerato Manifesto della Razza, conosciuto anche come Manifesto degli Scienziati Razzisti?

Pare di sì, anche se avrà un altro nome, non sono così sciocchi da ripetere la storia alla lettera.

Ma noi tranquilli, abbiamo Netflix e nulla ci può succedere che non abbiamo già visto in un film o in una serie Tv...

domenica 10 gennaio 2021

Cosa ho imparato grazie a Trump

Lezione n° 1:

- Twitter, Facebook o Google (o Amazon) hanno più potere del Presidente degli Stati Uniti d'America: sono loro a chiudergli la bocca, non il contrario

Lezione n° 2:

- A conferma del punto 1: i milioni di followers di Trump su Twitter, per punire Twitter della censura al POTUS, pensano di spostarsi in massa su Parler (che ha i propri server su Amazon), perché "lì non ti censurano". Tempo 24h e Parler viene cacciato dai server di Apple, Amazon, Google

Lezione n° 3:

-  Più che Parler potè Gab. Gab è, secondo quanto si legge su Wikipedia, un social dove possono parlare liberamente, cioè senza subire le "anti-democratiche" censure dei cattivoni di cui sopra, tutti i neo-nazi, gli antisemiti, i fanatici religiosi di destra, ecc. Appurato che quel che dici non disturba che quelli che la pensano diversamente da te, ognuno si scelga una gabbia idonea fra le due disponibili, poi #andratuttobene

Lezione n° 4:

- La "libertà di parola", la "democrazia", i "diritti costituzionali" sono termini presenti nei commenti sui social quasi quanto "fakenews", "no-vax", "i negazionisti". La necessità di limitare il numero di parole usate, forzata dai social, sta facendo il lavoro necessario ad arrivare all'ormai noto Grande Reset. Una volta lì, si potrà dire ciò che si vuole con un solo educatissimo #hashtag, ognuno previa validazione del leader della propria gabbia di appartenenza

Lezione n° 5:

- Qualcuno dice che basterebbe cacciare l'attuale governo per migliorare la triste situazione in cui viviamo. Non mi spiego come si possa pensare che Jack Dorsey, Mark Zuckerberg o Jeff Bezos possano prendere ordini dai nostri futuri Presidenti del Consiglio. Abbiamo candidati con più potere e più palle di Donald Trump? Non mi si citi #GoldMan'SacDraghi, ma qualcuno ha osato perfino Letta #staisereno

Come dicevo, la questione "Trump" è la lezione delle lezioni sul mondo in cui viviamo, quella definitiva.

L'altra, che va insieme, è che anche i migliori fra noi non vedono la gabbia e sognano la futura immensa libertà di poter eleggere da chi farsi prendere per i fondelli in futuro.

Dopo 1984, direi che urge rileggere La fattoria degli animali.

P.S. M'é capitato di rileggere ieri un mio vecchio post del 2014. Teoricamente parlavo di Rock&Roll, ma rileggendolo ho capito perché se mi dicono che sono folgorata non me la devo prendere...

mercoledì 29 aprile 2020

Riflessioni a tempo perso

Due cose ci hanno insegnato la scienza e Agatha Christie: 

1. che ogni individuo ha impronte digitali uniche
2. che ogni individuo ha un proprio volto, unico

Fino a ieri, foto a volto scoperto e impronte digitali erano infatti strumenti di individuazione certa dell'assassino, perfino il Dna non è affidabile per il riconoscimento quanto le impronte digitali.

Insomma, identificarsi e lasciarsi identificare era la condizione per la nostra illusoria libera circolazione.
Oggi la maschera non solo è consentita, è obbligatoria.



E lo sono anche i guanti.
Non importa se abbiano senso rispetto allo scopo dichiarato di proteggere e proteggersi dal contagio.
L'obbligo azzera ogni ragionamento. 
Si fa perché si è obbligati a farlo.
Quindi maschera e pinne. 

La minaccia di doverci abituare a questa "nuova normalità", così definita da un Ministro del nulla, qualche riflessione la meriterebbe però, quanto meno per la suggestiva valenza simbolica (e storica) dei due aggeggi.
Qui sotto ne propongo una: ad alcuni schiavi viene (ancora oggi, sì) tappata la bocca in quanto non hanno alcun diritto di parola. 
Lo schiavo ubbidisce, non interloquisce.
E se grugnisce, si multa.



Di uno schiavo servono braccia, gambe e schiena, non le impronte digitali: a chi appartiene si sa, di solito viene infatti marchiato.

Per ora abbiamo l'obbligo di indossare "solo" i guanti; più avanti Gates (Bill) ci promette un chip il quale, monitorandoci per salvarci sostituirà, migliorandole, le nostre obsolete impronte digitali uniche. 


Non ci serviranno più, si saprà perfettamente chi siamo, cosa facciamo, dove andiamo, con chi e pure quando siamo stati l'ultima volta dal barbiere/parrucchiere. 
Il chip andrà però protetto, quindi...abituiamoci ai guanti.

Mi viene in mente che fino ai primi anni del '900 i documenti di identità con foto non esistevano: il passaporto è del 1901 mentre la carta di identità pare sia divenuta obbligatoria nel 1926 al solo scopo di identificare le "persone pericolose". In ogni caso, i documenti con foto erano comunque rari e destinati solo a particolari categorie di persone (militari, soldati, viaggiatori, ecc), almeno fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Antichi.

Ancora un po' e noi non avremo nemmeno più bisogno di esibire le attuali modernissime schede di plastica con foto: scaricata la App e partita l'attivazione del 5G (ci siamo quasi), basteranno dei poliziotti pre-crimine chiusi in stanze tecnologiche per sapere sempre che cosa stiamo per fare, dove stiamo andando e a fare che cosa, con chi e con quali intenzioni. 
E non "in tempo reale", ma prima che lo sappiamo noi stessi. 
La scienza unita alla tecnologia ci rende prevedibili, fine del seccante e trapassato genio italico.

Le nostre facce e le nostre impronte non interesseranno più a nessuno, perciò dovranno essere occultate entrambe, così che ci scordiamo di queste banalità ottocentesche.
Nella nostra prossima "nuova normalità" saremo tutti uguali, tutti anonimamente mascherati e con i polpastrelli chippati e guantati, ma salvi da ogni virus.
Salvati anche da noi stessi, dalle nostre ambasce per il look e la manicure: a noi penserà zio Bill.
Quel Billy The Killer che prima s'é inventato le finestre e ora, grazie a molti servi volontari, vuole chiudere i cancelli.
Chi è dentro è dentro, e chi è fuori starà fuori, condannato all'antico umano destino.

giovedì 27 dicembre 2018

Le Feste

Quest'anno, chissà perché (forse il bastian contrario in me è all'opera?), improvvisamente ho realizzato che nessuna festa è bella quanto il Natale. 
Con tutto quel che c'é dentro e intorno: i pranzi, le cene, i regali, le lucine sui poggioli, gli alberi di Natale nei giardini che passano tutta la notte mandando bagliori intermittenti. Perfino gli eventuali canonici scazzi con i parenti, hanno un loro perché. 
Tutto ci sta, tutto ha qualcosa di magico. 
E non m'importa delle perenni lagne sul consumismo (fosse solo a Natale, magari saremmo tutti un po' più equilibrati), mi stufano quelli che il Natale proprio no, non lo sopportano, e ti insinuano dentro il sospetto che essere contenti di questa voglia di stare insieme a Natale sia sbagliato.
Ci sono cascata per qualche anno, poi intorno al 18/20 dicembre un'amica mi ha chiamato ricordandomi le "tue favolose cene di Natale", quelle che m'ero inventata per festeggiarci fra singles, quelle che si cominciava a far bagordi alle 8 della vigilia e si arrivava verso le 8 del mattino dopo sfatti, esausti, ma con la bella sensazione che sì, era stato bello aspettare mezzanotte per scartare i regali insieme facendo scrocciare carte d'oro o d'argento e strappando nastri e fiocchi con l'impazienza degli infanti cresciuti.
Quindi, basta: per quest'anno mi sono comprata le lucine per addobbare il terrazzo, il che è per me una novità assoluta. E divertente. 
E al prossimo Natale fanculo la miseria e i tristoni che il Natale gli mette il malumore: stiano pure da soli a sfuggire la bellezza del farsi i regalini più scemi, dell'agitarsi per tempo a preparare una sontuosa cena per poi cominciare a sparare cazzate fino a quel punto della notte in cui si passa a rivedere lo stato dell'universo per rimetterlo a posto, almeno per una sera, ché il Natale bisogna pur farlo nascere ogni volta in noi, almeno avere in noi il pensiero di un possibile mondo migliore.
Buon Natale è passato, ma c'é ancora da inventarsi una festone di Capodanno, e bisognerà impegnarsi a fondo.
Divertirsi, stare bene, vivere con leggerezza almeno questi pochi giorni all'anno, non nuocerà a nessuno e aiuterà tutti a ricaricarsi per affrontare il 2019 emotivamente più solidi e mentalmente più rilassati.

sabato 7 ottobre 2017

Bed-In

Ieri mattina sono stata brutalmente svegliata dai gridolini isterici di una vicina che s'illudeva di far rientrare il cane in casa dopo avergli consentito di uscire senza lacci e lacciuoli. Anziana, non si piega, quindi non sa gestire né le fughe del cane né tantomeno, la raccolta delle sue deiezioni sul prato.
Quindi s'immagina che la libertà del cane si possa gestire con dosi massicce di vieni qui amore, dai che è ora di andare, vieni con la mamma (quella delle mamme dei cani è universale: se una donna ha un cane, di default si sente mamma, con quel che di tragico ne consegue...).

Stamattina sono stata invece brutalmente svegliata dalla vicina del piano di sopra la quale, essendo sabato e quindi giornata di pulizie, inzia presto a sbattere porte, spostare divani e poltrone, passare scope e stracci e aspirapolveri, piena di energia ripulente e disinfettante (vive sola in 40mq, e ogni sabato sono grandi pulizie di primavera, chi le sporchi casa non si sa...).

Ho provato a resistere, come sempre, alle brutali sollecitazioni esterne girandomi prima da una parte, poi dall'altra, poi niente: mi irrita di prima mattina che a decidere a che ora è la sveglia non sia il mio bioritmo, ma le iperattività domestiche (o canare) altrui.

Essendo tendenzialmente una nottambula, amo però dormire comunque le mie otto ore, e questi risvegli imposti dai bioritmi altrui mi fanno iniziare la giornata già pronta a sparare.

Una cosa di cui mi sono infatti convinta, dopo anni di osservazione e patimenti, è che chi va a dormire con le galline e si sveglia con il canto dei galli, è sempre un potenziale guerrafondaio: imponendo a metà del mondo i propri ritmi, innesca nell'altra metà l'inevitabile desiderio di vendetta tremenda vendetta.

Se non scoppiano quotidianamente guerre condominiali non è perché siamo civili, ma perché chi ama dormire evita di rovinarsi, oltre al risveglio, anche la giornata, passandola a litigare con l'iperattività altrui.
Insomma, è una pratica costante di non-violenza, un'ascesi praticata fin dalle prime ore del mattino in attesa che arrivi sera e le galline vadano finalmente a dormire così da avere qualche ora di pace fino al mattino dopo quando, appena sveglie, quelle devono far sapere al mondo quanto son brave a fare le uova.

Dormire, riposare, fare di meno, non di più, è l'unica via verso la Pace nel mondo.
Ben lo avevano capito i coniugi Lennon che già nel '69 del secolo scorso dichiararono essere il letto (e il dormire), una via di Peace&Love.


E' tutto qui, il segreto, niente di complicato. 
Eppure, sono circondata da gente che si agita, che s'inventa fin dal mattino tremila cose da fare al solo scopo di convincersi di essere vivi.

Per me, essere viva, è essere in pace in compagnia di me stessa: dormire, leggere sul divano (o sulla sdraio d'estate), con calma inventarmi un pranzo intorno a mezzogiorno e, se possibile, farci una pennica sopra, tirando poi sera a film, serie, tv, qualche telefonata a qualche cliente con il quale scambiarci gentilezze facendo affari senza starsela troppo a tirare su budget, costi e ricavi, irritanti tecniche di marketing e tutte le stronzate produttive che fanno sentire figa e attiva la stragrande maggioranza delle galline e dei galli in costante attività.

Galline e galli per i quali sogno ogni mattina dosi intensive di napalm, subito mediato con però almeno un paio di tranquillanti fateveli, una camomilla doppia, una dose di oppio, un po' di morfina, un paio di canne, qualunque cosa vi dia una calmata così che riusciate a lasciare in pace il mondo.
Fate di meno, non di più, se volete davvero sentirvi vivi.
Agitarsi è agitarsi, non essere vivi.
E dormite, perdìo!

lunedì 2 ottobre 2017

Solo buone notizie

Sbirciata rapida agli esiti del referendum catalano (questioni indipendentiste a parte, gli esiti dimostrano che Rajoy è un pessimo stratega: lasciava fare, avrebbe avuto parecchio da contestare visti i numeri: 90% su meno della metà degli aventi diritto al voto, la legge catalana della maggioranza vince anche senza quorum gli spianava la strada in discesa davanti a qualunque successiva rivendicazione autonomista), mi sono imbattuta in due notizie belle, entrambe in quel di Venezia.

La prima: un condominio di Mestre festeggia i 50 anni dalla costruzione con una festicciola condominiale.
«Sarebbe bello se tutte le assemblee condominiali iniziassero così», ci confida l'amministratore. «In questo palazzo si respira un'atmosfera meravigliosa». Il segreto? La riservatezza. «Siamo tutti in buoni rapporti, ma ci teniamo alla nostra privacy: credo sia questa la ragione del successo del condominio», ci confida un residente.
A domanda, uno dei condomini:«Sono quasi tutte case di proprietà, spesso ereditate dai genitori: una continuità che aiuta a mantenere un'atmosfera tranquilla».
Continuità e tenerci alla propria privacy. 
Cosa che contribuisce a rispettare la privacy di tutti.
Non ci vuole poi molto, no?
In sintesi, nulla più che la buona educazione.
E però, avercene, di questi tempi...

La seconda: un poliziotto fuori servizio si accorge che un passeggero del vaporetto ha una preoccupante perdita di sangue a una gamba. 
Se ne preoccupa, si alza e lo aiuta, forse salvandolo da un possibile dissanguamento. 

Sarà che notizie di cronaca cittadina così non è che se ne leggano molte, ma per contrasto mi hanno ricordato che in un paese non massacrato dalle emergenze (dei "profughi, delle pensioni, delle abitazioni, dei conti dell'Inps, della scuola, ecc), queste notizie nemmeno farebbero notizia.
Magari nei quotidiani locali si sparlerebbe delle strade da asfaltare, dell'omicidio di ferragosto, del caldo africano e delle vacanze.
E d'inverno del freddo, della neve signora mia, del costo del riscaldamento e del vin brulèe.

Ho riscoperto l'acqua calda in autunno: leggere buone notizie ti cambia la percezione della vita.
Da domani, solo cronaca rosa, gossip e notizie che fanno bene all'umore e ti fanno pensare che forse...
Basta morti , basta disastri, basta violenza e, soprattutto, basta politica: voglio morire ignorante e felice.

martedì 25 luglio 2017

Esseri troppo avanti...

Quando nel 2013 Paolo Bernini, allora neoeletto deputato del M5S, parlò dei microchip sottopelle, stampa e buona parte del web politically correct (nel 2013 non eravamo ancora all'hate speech), lo misero in ridicolo indicandolo quale tipico esemplare dei 5S che sdoganavano il cospirazionismo in Parlamento.

Gliene dissero di ogni, a lui e a chi per lui, per questi microchip.

Eppure, negli ultimi mesi, le notizie sui microchip impiantati sotto pelle da aziende e singoli in Svezia, in America e nel ricco mondo, sono quotidiane o quasi.
Si vantano i benefici offerti dalla tecnologia Rfid come di quel passo avanti verso l'integrazione uomo-macchina che dovrebbe, ça va sans dir, migliorare la nostra sempre più idiotizzata esistenza senza che a nessuno, di quelli che allora ridicolizzarono il Bernini, sia ancora venuto in mente che forse al Deputato 5S gli si dovrebbero almeno delle scuse.

E' null'altro che il tragico destino di chi è troppo avanti rispetto alla media, quello d'esser deriso.
E forse, a ben vedere, l'essere troppo avanti, è quel genere di tragedia che fa campare con difficoltà persone che hanno il solo torto di coltivare curiosità e senso di appartenenza.

Come ha ben descritto Robert M. Pirsig in Lila, le comunità degli esseri umani tendono a coltivare una Qualità Statica, ad attenersi cioè a uno schema fisso (di leggi, di pensieri, di comportamenti, ecc.), una volta raggiunta quell'omogeneità che consente una buona convivenza nella comunità stessa senza subire troppi turbamenti in caso di lievi fuori standard correggibili.
Solo che la vita è movimento, nulla sta fermo nemmeno se ti inchiodi i piedi per terra.
Ed è' anzi proprio delle società statiche, cioè delle comunità che hanno raggiunto un certo equilibrio e benessere sociale, il produrre eccezioni, cioè il veder nascere esseri umani più curiosi e intellettualmente più dinamici rispetto agli standard raggiunti.
A questo servono le società statiche: a consentire l'emergere di elementi dinamici il cui scopo, grazie alla loro natura curiosa e maggiormente intuitiva, è far intravvedere una nuova possibilità là dove ancora non esiste, così che raggiunto uno stadio di benessere ci si possa avventurare tutti verso il successivo.
Per salvaguardere se stessa, invece, la società statica tende ad espellere ogni elemento che crei turbamento allo standard raggiunto. 
Arriva al punto di standardizzare ogni eccezione, così da non dover mai mettere il naso fuori dal proprio recinto.
A differenza di quello che succede nelle comunità tribali, dove il dinamico viene espulso come corpo estraneo, così da non turbare lo standard, ma viene a essere il santone del villaggio, lo stregone da consultare che vive sì, appartato per via della sua stranezza, ma recuperato come parte della comunità ogni volta che qualche nuovo pericolo (malattie, guerre, ecc) minaccia la comunità. 
Nelle odierne società statiche invece, chi esprime pensieri non ortodossi, cioè non già pensati e condivisi uguali dall'intera comunità, viene "incluso" (non siamo razzisti) ma stigmatizzato con il ridicolo, con l'accentuazione del dettaglio per il tutto (i calzini azzurri che diventano giudizio sull'operato del giudice del Csm Raimondo Mesiano) o paternalisticamente invitato a correggersi.

Nel villaggio globale odierno, quello dove tutti possono essere tutto e perciò nessuno può esprimere idee proprie (o riportare notizie troppo avanti), pena il rischio di essere ormai, a soli 5 anni di distanza dai microchip del Bernini, perfino perseguibile per reato d'odio al solo dire cose diverse dalle fuffonate ufficiali, oggi di microchip si può parlare ma a una sola ed esclusiva condizione: che se ne elenchino i vantaggi, l'utilità e le comodità. 
Utile per pagamenti senza carte e senza contanti, aperture porte aziendali e timbri cartellini. Se ne può parlare ma solo magnificandone i pregi quale strumento che consente di eliminare password e cartelle sanitarie, di attraversare senza fermarsi qualunque portone tecnologicamente blindato e di far partire la lavatrice o il condizionatore già un'ora prima di arrivare a quel portone.
Guai a suggerire però che quel chicco di riso sia perfino peggio dell'infilarsi volontariamente un paio di manette o una cavigliera elettronica pur non avendo commesso alcun reato.
Non ancora, comunque; perché, e qui mi sa che vado a superare il prode Bernini del 2013, non è lontano il giorno in cui il chicco di riso consentirà alle squadre del precrimine di arrestarci per aver captato una variazione delle nostre pulsazioni collegate a un'immagine nella nostra mente registrata dal microchip proprio mentre, litigando con l'inquilino del piano di sotto, per un secondo abbiamo accarezzato l'idea di mandarlo a fanculo.
Cose che, in tempi di hate speech, non solo non si fanno, ma nemmeno si devono pensare, se non si vuole rischiare di trovarsi con un genocidio sotto casa ogni due per tre.
Di qui la necessità di istituire The

Fa brutto ed è politicamente razzista avercela con un'inquilino che ti innaffia la biancheria stesa. 
Grazie alla precrimine, e a un buon microchip sottopelle, tutti i buoni di cuore saliranno insieme in cielo per sedere alla destra del Padre.
Destra, non Sinistra.
Giusti col giusto cuore si nasce, e questo impegna a far proseliti o campi di rieducazione, sempre lì lo statico al potere va a parare.
Ci si consoli che l'Inferno è lì sotto e aspetta tutti i troppo avanti dinamici che parlano di microchip 5 anni prima che sia lecito parlarne o pensano a voce alta cose tipo ma cosa si mangia questa per essere così incazzata quando parla d'odio.
I supposti odiatori, non sono né pochi né scemi.
E sanno fiutare con largo anticipo la puzza di gulag che sale dal fondo.

sabato 27 maggio 2017

Decreto vaccini, non permetterò che sforacchino il braccio di mia figlia

Mia figlia ha poco più di due anni. Il protocollo vaccinale previsto per lei dalla Asl della mia città è stato rispedito al mittente con questa motivazione sottoscritta da me e mia moglie (laureati entrambi in Scienze Statistiche):
Crediamo che l’opzione vaccinale proposta – di fronte alla quale ci guardiamo bene dall’ostentare certezze in un senso o nell’altro – costituisca la prima, enorme prova di responsabilità nella vita di un genitore. La nostra innata propensione all’approfondimento, nonché un imprinting accademico che da sempre ci orienta a un sano esercizio del dubbio, ci ha portato a valutare questa scelta esclusivamente in termini di propensione al rischio, ponderato con lo stile di vita che presumibilmente caratterizzerà il futuro di nostra figlia. Di conseguenza, la nostra scelta è quella di sottrarci ai rischi impliciti di un protocollo standardizzato e, proprio per questo, privo di qualsiasi valutazione delle specificità di nostra figlia.
Abbiamo soltanto due certezze. La prima è che qui nessuno ne ha alcuna. Non ne hanno i no-vax, che – dopo le pur lodevoli battaglie degli anni Novanta – appaiono oggi incapaci di organizzare un’autorevole e credibile controffensiva culturale, agitando disordinatamente istanze preromantiche senza muovere un dito. Non ne hanno soprattutto i pro-vax, che – rinchiusi e starnazzanti nelle prigioni di comfort in cui sono tenuti segregati da una pergamena appesa al muro o dal servizio di un Tg – sembrano dimenticare che la Legge dello Stato 210/92 prevede esplicitamente l’indennizzo economico per i danni da vaccino (se fossero così innocui, perché esisterebbe questa legge?). Legge di cui, peraltro, ha usufruito per esempio questa famiglia.
La seconda certezza – quella che mi induce per la prima volta a espormi su questo delicatissimo tema – è che una delle due controparti, non potendo argomentare la propria tesi, ha scelto la via più allarmante: quella di usare il tallone di ferro per schiacciare la nostra libertà e costringerci a scegliere solo uno fra due diritti fondamentali, quello all’istruzione e quello alla libertà di cura e, per estensione, alla inviolabilità del nostro corpo.
Non mi interessa sapere chi ha ragione e chi ha torto. Karl Popper diceva: “Io posso avere torto e tu puoi avere ragione, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità”. M’interessano unicamente la tutela della salute di mia figlia e, se capita, di quel che resta della democrazia in questo malato terminale chiamato Italia. M’interessa sapere che l’antipolio è una vaccinazione obbligatoria nonostante dal 2002 l’Italia sia stata dichiarata polio-free, non da un sabba di streghe, ma dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
M’interessa sapere che l’anti-epatite B è stata resa obbligatoria in Italia nel 1991, proprio negli anni in cui l’allora ministro della Sanità, Francesco De Lorenzo, e il responsabile farmaceutico del Ministero, Duilio Poggiolini, venivano condannati per aver intascato mazzette da casa farmaceutiche tra cui la Glaxo-SmithKline, l’azienda produttrice del vaccino (piccolo dettaglio: l’epatite B si trasmette coi rapporti sessuali, perché imporla ai neonati?). M’interessa sapere che, da parte di qualche addetto ai lavori, continuo a sentir parlare di immunità di gregge anche contro il tetano.
E m’interessa sapere che, dopo anni in cui – solo per rispetto nei confronti di mia figlia – su questo argomento mi sono morso la lingua e legato le dita, all’indomani del decreto della settimana scorsa che considero nazista mi sentirei più irresponsabile a restare in silenzio. Perché con quel decreto si è superato un limite molto delicato e che, se si è intellettualmente onesti (e comunque la si pensi sui vaccini), giustifica ogni aggettivo e ogni reazione..
Vi siete chiesti perché Frau Lorenzin mostra così spavaldamente i muscoli? Vi siete chiesti perché stanno imponendo ai bambini e alle loro famiglie una scelta fra due diritti fondamentali, quello all’istruzione e quello alla libertà di cura? Vi siete chiesti perché in nessun altro paese al mondo esiste un tale accanimento vaccinale? La risposta, che non vi raccontano certo i mezzibusti televisivi, è che dal 2014 gli Usa hanno nominato l’Italia capofila mondiale nelle strategie vaccinali. In una parola, soldi. Anzi, montagne di soldi.
Vedete, io sono culturalmente uscito da questo sistema tre anni fa. Non ho più capi e padroni, né professionali, né spirituali, né politici. Sono tra le poche persone in Italia che (1) non è ricattabile, (2) possiede una qualche conoscenza specialistica e (3) è in possesso di una qualche capacità comunicativa e ha il privilegio di poter scrivere libri e accedere a qualche circuito informativo ancora indipendente. Posso quindi affermare, senza timore di essere radiato da niente, che la disobbedienza civile è un dovere sacro quando lo Stato diventa dispotico o, il che è la stessa cosa, corrotto (Gandhi).
Ora fate pure i vostri conti. Starnazzate da una parte e dall’altra, difendendo i vostri risibili interessi di bottega. Da una parte, continuate a organizzare convegni. Dall’altra, abbassate gli indumenti ai vostri figli e fateli sforacchiare, accarezzandoli con una mano mentre con l’altra messaggiate su Whatsapp. Accapigliatevi. Insultatevi. E soprattutto insultatemi. Sceglietevi i vostri carcerieri preferiti e non dubitate mai di nulla. Al limite mandatemi davanti a un giudice e toglietemi la patria potestà. Perché sarà questo l’unico modo che vi resta – ve lo garantisco – per poter afferrare il braccino di mia figlia e riempire il suo corpo con le vostre porcherie.
Ps. Un’ultima cosa: sono assolutamente convinto che tutte le mamme italiane saranno felicissime di sottoporre i loro figli a un’overdose vaccinale che non si è mai vista – e soprattutto mai testata – in precedenza.
Di Andrea Strozzi | 26 maggio 2017

Su Il Fatto Quotidiano

venerdì 28 aprile 2017

...there will become a day...

"...there will become a day when we will have to ask all women to wear a headscarf..."
(verrà sarà un giorno in cui dovremo chiedere a tutte le donne di indossare un foulard/hijab)

"Se va avanti così … con il dilagare dell’Islamofobia verrà il giorno che saremo costretti a chiedere a tutte le donne di indossare il velo – tutte – per solidarietà con quelle che lo fanno per motivi religiosi”

Questo ha dichiarato il 24 marzo scorso il Presidente austriaco Alexander Van der Bellen parlando ad un incontro con studenti delle superiori.


Basterà uno come questo?

O dovremo coprire completamente i diabolici capelli con uno di questi, con apposita cacioletta aderente sotto al velo così che nemmeno il vento più triestino possa farne uscire per sbaglio uno vendicativo?

E quanto dista il "foulard" dal robe noir qui sotto?


Quando sento un uomo (tanto più se un capo di stato) parlare di cosa deve o non deve indossare una donna (sempre, anche quando parla di Chanel e tacchi a spillo, non solo quando parla di veli islamici), so che ho di fronte un nemico di tutto ciò che sono.
Posso reggerlo finché riesco a tenerlo a distanza di sicurezza dal mio guardaroba, ma se si permettesse di sbirciare nel mio armadio prenderei un fucile.
Anche un AK 47 potrebbe andare bene.
Se proprio a quel tempo sarò in miseria, anche una mazza da baseball o una ginocchiata dove non batte il sole, so che andranno abbastanza bene.

(il senso del discorso del Presidente austriaco è che, per senso di solidarietà e per contrastare la montante islamofobia, toccherà ai governi occidentali chiedere un giorno a tutte le donne occidentali di indossare l'hijab. Con la stessa logica solidaristica, si potrebbe anche chiedere a tutti i maschi di alzare il culo al cielo 5 volte al giorno, sbattendo più volte la fronte per terra e salmodiando qualche gorgheggio. Poi non si lamentino però se, mentre loro salmodiano con il culo all'aria, le velate occidentali ne approfitteranno per quanche amorevole calcio sulle maschie terga, ad anticipo solidaristico di ogni e qualunque burqa passato, presente e futuro).

giovedì 20 ottobre 2016

Zero Privacy

In Zero Privacy si citano 3 casi che, fossimo rane meno prossime al punto di cottura, dovrebbero vederci sparire dalla rete limitandoci alle sole attività burocratiche rese ormai obbligatorie.
1. Nel 2012, un ragazzo che sta per partire per una vacanza a Los Angeles invia un messaggio via Twitter a un’amica”: Ehi, che ne dici di andarci a bere una birra prima che vada a distruggere l’America? Un bacio”. Un paio di giorni dopo si imbarca e, giunto al controllo passaporti dell’aeroporto di Los Angeles, viene avvicinato e scortato da un paio di poliziotti in una stanza della polizia aeroportuale dove viene trattenuto per 5 ore per essere interrogato sul suo account Twitter. Poi viene trasferito in una prigione cittadina e lì ulteriormente interrogato, fino al rilascio il giorno dopo. Il suo reato? L’aver inviato quel messaggio all’amica via Twitter. I software che controllano e tracciano ogni cosa che facciamo diciamo via web lo hanno segnalato come un allarme per la sicurezza nazionale americana per via di quel "...distruggere l'America". 

Un software non è in grado di stabilire se il tono di ciò che scriviamo sia scherzoso o meno, e i poliziotti non sono tenuti ad avere il senso dell’ironia. 
Così oggi, questo simpatico burlone irlandese, sa che ogni qual volta si troverà a transitare in un aeroporto dovrà aspettarsi di subire controlli e interrogatori come immaginiamo succeda a un qualsiasi “sospetto terrorista”. 
Per un Tweet.
2. Una sera, stanco della giornata, un attore newyorkese decide di rilassarsi vedendosi Fight Club prima di andare a lezione di yoga. In una scena del film si parla di una particolare arma, fin lì a lui sconosciuta, e per cazzeggio decide di riportare testualmente il dialogo dove nel film parla di quest’arma. Pochi minuti dopo bussano alla sua porta: agenti dei servizi segreti, armati di tutto punto, entrano senza chiedere permesso e iniziano a buttargli sottosopra la casa cercando…Cosa? Uno degli agenti trova una scatola dove l’attore aveva riposto i suoi vecchi riconoscimenti militari, così inizia a chiacchierare con lui chiedendogli poi a un certo punto: “Ehi, sai cos’è l’arma tipo xy (cioè quella di cui lui aveva appena trascritto il dialogo su Facebook citando Fight Club)?”. La cosa che sorprende maggiormente l’attore è che non capisce come abbiano fatto ad arrivare a lui in pochi minuti: abita in quella casa da pochi giorni, l’appartamento non è intestato a lui e la sua residenza risulta tuttora da un’altra parte della città: non c’é modo che qualcuno abbia potuto per caso sapere dove si trovasse, a meno non risalisse a lui in base alla localizzazione dell’Ip del computer con il quale si era appena collegato a Facebook. Alla sua domanda su come siano arrivati a lui, gli rispondono prima, che avevano ricevuto una telefonata da un suo “amico” e poi, visto che come nel suo diritto chiede di sentire la registrazione della telefonata, gli viene detto che no, la segnalazione era stata fatta direttamente al posto di polizia lì vicino, e con questo gli si chiude ogni possibilità di risalire a chi abbia tratto le conclusioni che il suo messaggio su Facebook dovesse far ritenere l’uomo, che nessuno sapeva dove abitasse, “pericoloso” al punto da muovere, nel giro di pochi minuti, un’intera pattuglia di agenti segreti che gli butta all’aria la casa.

Per un innocente messaggio su Facebook.
3. Un attempato professore inglese di antropologia racconta che in occasione del matrimonio di William&Kate (aprile 2011), aveva organizzato con un gruppetto di teatranti una sorta di flash-mob in costume allo scopo di contestare le enormi spese che furono allora sostenute (con soldi pubblici) per garantire i servizi di sicurezza durante il tragitto della reale carrozza lungo le strade cittadine londinesi. Per organizzare il flash-mob, il professore aveva scambiato con altri manifestanti-teatranti dei messaggi via BlackBerry per accordarsi sul luogo e l’ora dell’incontro. Giunto all’appuntamento, in abiti teatrali come gli altri del gruppo, subito sono stati circondati da poliziotti i quali parevano sapere esattamente chi controllare, dato che si avvicinarono solo a loro e procedettero all’arresto di una cinquantina di persone in costumi teatrali, fra cui l’anziano professore. Portati tutti alla più vicina stazione di polizia, furono trattenuti fino alla fine dello svolgimento della “passeggiata” reale e rilasciati dopo parecchie ore. Strattoni, modi bruschi, interrogatori, segnalazione nei registri di polizia solo per aver pensato di inscenare una contestazione accordandosi su ora e luogo via BlackBerry. Nessuna scuse, nessun ci dispiace. Quei poliziotti, come è evidente, sapevano perfettamente cosa si erano messaggiati fra loro via BlackBerry e lo scopo dell’arresto era di impedire a dei teatranti di strada di contestare pubblicamente la coppia di sposini reali.
 

Nonostante Edward Snowden e nonostante Julian Assange, quando si parla di “privacy” e controllo da Grande Fratello capace ormai di bloccarti un account senza nemmeno lo sforzo di darti un preavviso, c'é chi ancora si aggrappa a resistenze psicologiche del tipo:
" Non ho nulla da nascondere”.

Nemmeno nell’invitare un’amica per una birra c’é nulla da nascondere, tant’é che il simpatico irlandese lo fa via Twitter, non lasciando messaggi cifrati nel buco di un convenuto albero del viale cittadino.
Nemmeno il simpatico attore che ha trascritto una frase da Fight Club, pensava di aver nulla da nascondere, tant’é che la trascrive su Facebook, non la verga con inchiostro simpatico lasciando poi il messaggio dentro a un libro convenuto di una biblioteca pubblica così che il compare aspirante a un incarico all’MI5 lo trovi.
Tantomeno aveva qualcosa da nascondere il professore che con il suo gruppo di teatro aveva organizzato una contestazione in costume lungo le vie di Londra per rendere un ironico omaggio alla coppia di sposini reali.
Eppure, sono stati tutti testimoni di come funzioni e a cosa portino nascosto nel ventre quegli apparentemente innocenti social network cui cediamo ogni informazione sulla nostra quotidianità, completa di foto, corredata da like e arricchita dai commenti dei nostri follower dei quali, in realtà, tranne di quei pochi che conosciamo realmente, non sappiamo per lo più nulla.


Leggevo stamattina di un’ulteriore passo avanti nel controllo pervasivo di chi siamo, cosa facciamo, cosa pensiamo, cosa cerchiamo in rete.

Facebook traccerà gli utenti che si recheranno nei negozi degli inserzionisti grazie alla geolocalizzazione e alle reti wi-fi. Naturalmente rassicurano che i dati raccolti dal nostro smartphone circa le nostre navigazioni e attività in rete, non saranno che dati aggregati, quindi non ci sarebbe una vera identificazione personale che contrasti con la nostra privacy, così molti ancora diranno:
"Che m’importa? Non ho nulla da nascondere".

Un'altra notizia di stamattina è quella per cui gli Usa si riservano il diritto di sequestrare qualsiasi server in ogni parte del mondo. 
Ma che importa? “Tanto non ho nulla da nascondere”.
La terza notizia sul tema privacy è quella per cui Yahoo starebbe brevettando un tipo di pubblicità basata sui sistemi di video sorveglianza piazzati in luoghi pubblici - piazze, aeroporti, treni, ecc. - “questi cartelloni pubblicitari elettronici si avvalgono di sistemi di videosorveglianza diretti e indiretti.  Un sistema che sfrutta videocamere, satelliti, droni, microfoni, sensori di movimento e scanner biometrici (impronte digitali, riconoscimento facciale) e utilizza tutte le informazioni accumulate tramite questi mezzi per riconoscere ogni persona che si avvicina a uno dei cartelloni e servire pubblicità che presentino un tema comune a tutti i presenti nelle vicinanze”.
Leggi l'articolo originale su ZEUS News
Ma tanto, “Io non ho nulla da nascondere”.
Mentre pensiamo sempre più spesso di essere prossimi a un futuro orwelliano, sembriamo non voler essere consapevoli di vivere già in un mondo in cui le nostre vite, grazie all’attrazione che ha su di noi la “gratuità” della rete e ai social che ci attirano più che le mosche sul miele, siamo già oltre Orwell. Presi nella rete dalla nostra vanità che ci fa cedere tutto per un mezzo minuto di notorietà per un selfie, un like, un tweet azzeccato (un post...), ecc, minuto dopo minuto, giorno dopo giorno, anno dopo anno, siamo già ora rane così bollite da non reagire nemmeno più al lento e progressivo togliersi della nostra pelle se non con un consenziente: 

“Che m’importa, tanto non ho (più) nulla da nascondere”.

Anni fa, ben prima dei social e di Whatsapp, in rete girava una massima: 
"L'unico computer sicuro è un computer spento".
Oggi nemmeno questo è più un consiglio valido: i nostri smartphone, e perfino le nostre (le vostre) ipertecnologiche tv, sono ormai in grado di catturare suoni di casa e localizzarvi anche a dispositivi spenti.

Nel film Zero Privacy (linkato qui sotto), verso la fine, si vede un blogger appostarsi nei pressi della villa di Mark Zuckerberg. Si chiede: “Se pubblicamente ci invita a non avere segreti e a giudicare con sospetto chi ne ha, lui coerentemente con quanto dice pubblicamente ci aprirà la porta e parlerà con noi di tutto senza zone d'ombra sulla sua privacy”.
Quando dopo qualche ora Mark finalmente esce di casa, a piedi, per avviarsi al lavoro, non risponde alle domande del blogger e cammina in serrato cupo silenzio, tutto impettito e seccato. Quando il blogger insiste chiedendogli se può cortesemente rispondere a qualche domanda, Mark gli chiede se può prima spegnere la telecamera. Avendone una seconda nascosta, il blogger spegne la prima e riprende con la seconda (non dobbiamo avere segreti, giusto?). Convinto di non essere più ripreso, Mark Zuckerberg si rilassa visibilmente, accenna perfino un imbarazzato sorriso, e puntualizza che non risponderà a domande personali, invitando il blogger a prendere un appuntamento con l'addetto alla comunicazione di Facebook se vuole un'intervista.

Solo Facebook non ha privacy, Mark Zuckerberg invece la sua la difende molto più attentamente di quanto facciano i suoi ammiratori.

Un’ultima banale domanda: qualcuno di quelli che “Non ho niente da nascondere”, si è mai chiesto come facciano Big G e FB a far soldi a palate? Come mai, se concedono a chiunque email e social gratuitamente sono entrambi diventati i colossi finanziari che sono?
Non sarà che gli unici a concedere loro gratis tutto siamo noi, ben sapendo ormai che loro vendono a caro prezzo perfino i dettagli più intimi delle nostre vite reali?

E non sarà che proprio cedendo volontariamente e gratuitamente alla rete anche le informazioni più personali, con l'illusione della gratuità della rete, ci siamo lasciati imbrigliare in un sistema di sorveglianza così capillare sulle nostre vite che nemmeno Orwell era a ipotizzare?
Il Mondo Nuovo non è di là da venire, è quello che già ci vede a protestare innocui e tranquilli davanti a una tastiera, anziché prenderla a martellate.