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mercoledì 30 marzo 2022
giovedì 16 dicembre 2021
Comincia a somigliare molto al fascismo...
— L'eretico_l (@eretico_l) December 16, 2021
venerdì 8 marzo 2019
S-festeggiamoci
21 Novembre: Festa degli alberi.
Googlare alberi+taglio e si avrà la misura dell'amore per gli alberi: da anni tutte le Amministrazioni locali del fu Belpaese, stanno facendo loro la festa segandoli a zero o capitozzandoli in modi barbari, così che la loro lussuriosa chioma non ostacoli gli occhi dei satelliti
26 Luglio: Festa dei nonni (ma anche il 16 agosto, che i nonni sono sempre più d'uno).
Comunque, a stare alle tremende notizie di cronaca (di 2 giorni fa quella di un 65enne morto sul lavoro cadendo da un tetto) nessuno rischia più di diventare nonno: al lavoro fino a 70 anni e poi dritto a Villa Arzilla.
Quelli che la scampano, Villa Arzilla, sono invitati a restare giovani ed efficienti, che c'é sempre il Pil da accontentare spandendo e spendendo, e la vecchiaia è ormai una patologia seccante che costa all'Inps.
Che ha altre bocche da sfamare (fra i primi 10 soci di Banca d'Italia, a sua volta parte integrante del sistema bancario europeo...)
9 Maggio: Festa dell’Europa
Europa che sappiamo morta e sepolta nel giorno in cui è nata l’UE, quella Unione Europea che ci vendono come se fossero con l'Europa la stessa cosa, e non è così...
1 Maggio: Festa dei Lavoratori
Fottuti già tutti, senza eccezioni, quella dei Lavoratori è ormai da tempo una festa alla memoria
2a Domenica di Maggio: Festa della mamma
In via di estinzione, grazie è stato bello.
O basta un utero in prestito per dirsi mammo?
21 Giugno: Festa della musica
Per ora resiste ancora qualcosa grazie ai vecchi rockettari ultra 70enni, ma non è che sono immortali...
20 Novembre: Festa dell’Infanzia e dell’Adolescenza
All’infanzia stanno mirando dritto al cuore colpendola con vaccini e istruzioni gender fin dall'età dei cartoni animati.
Agli adolescenti è (ahppperò!!!) garantita dal SSN la pillolina per sospendersela, l'adolescenza, in attesa di decidere se essere in futuro un uomo con le tette o una donna con gli attributi
8 Marzo: Festa della Donna
Non è che con queste premesse mi senta proprio bene.
Non è che le costosissime mimose, mi chiedo, sono l'equivalente del vecchio crisantemo il 2 Novembre?
Troppe feste, nessuna festa.
Le giornate di festa sono ormai dedicate anche alla pastasciutta (16-17 febbraio, a Verona), e mi mettono alla fine in concorrenza con quella.
Non è che poi arriva Sordi...e me se magna...???
9 Marzo 2019 - P.S.
Per me si tratta di una new entry, nel senso che prima di oggi non ne avevo mai sentito parlare, quindi la notizia va data:
15 Marzo: Giornata Mondiale del Sonno
Non ho capito a che serve: si può dormire tutto il giorno? Dovremo sorbirci esperti del sonno che in radio, alla tv, sui quotidiani, sui social ci romperanno le scatole per dirci che "Le ultime ricerche scientifiche confermano che per arrivare sani a 100 anni bisogna dormire almeno 7 ore per notte"?
Googlare alberi+taglio e si avrà la misura dell'amore per gli alberi: da anni tutte le Amministrazioni locali del fu Belpaese, stanno facendo loro la festa segandoli a zero o capitozzandoli in modi barbari, così che la loro lussuriosa chioma non ostacoli gli occhi dei satelliti
26 Luglio: Festa dei nonni (ma anche il 16 agosto, che i nonni sono sempre più d'uno).
Comunque, a stare alle tremende notizie di cronaca (di 2 giorni fa quella di un 65enne morto sul lavoro cadendo da un tetto) nessuno rischia più di diventare nonno: al lavoro fino a 70 anni e poi dritto a Villa Arzilla.
Quelli che la scampano, Villa Arzilla, sono invitati a restare giovani ed efficienti, che c'é sempre il Pil da accontentare spandendo e spendendo, e la vecchiaia è ormai una patologia seccante che costa all'Inps.
Che ha altre bocche da sfamare (fra i primi 10 soci di Banca d'Italia, a sua volta parte integrante del sistema bancario europeo...)
9 Maggio: Festa dell’Europa
Europa che sappiamo morta e sepolta nel giorno in cui è nata l’UE, quella Unione Europea che ci vendono come se fossero con l'Europa la stessa cosa, e non è così...
1 Maggio: Festa dei Lavoratori
Fottuti già tutti, senza eccezioni, quella dei Lavoratori è ormai da tempo una festa alla memoria
2a Domenica di Maggio: Festa della mamma
In via di estinzione, grazie è stato bello.
O basta un utero in prestito per dirsi mammo?
21 Giugno: Festa della musica
Per ora resiste ancora qualcosa grazie ai vecchi rockettari ultra 70enni, ma non è che sono immortali...
20 Novembre: Festa dell’Infanzia e dell’Adolescenza
All’infanzia stanno mirando dritto al cuore colpendola con vaccini e istruzioni gender fin dall'età dei cartoni animati.
Agli adolescenti è (ahppperò!!!) garantita dal SSN la pillolina per sospendersela, l'adolescenza, in attesa di decidere se essere in futuro un uomo con le tette o una donna con gli attributi
8 Marzo: Festa della Donna
Non è che con queste premesse mi senta proprio bene.
Non è che le costosissime mimose, mi chiedo, sono l'equivalente del vecchio crisantemo il 2 Novembre?
Troppe feste, nessuna festa.
Le giornate di festa sono ormai dedicate anche alla pastasciutta (16-17 febbraio, a Verona), e mi mettono alla fine in concorrenza con quella.
Non è che poi arriva Sordi...e me se magna...???
9 Marzo 2019 - P.S.
Per me si tratta di una new entry, nel senso che prima di oggi non ne avevo mai sentito parlare, quindi la notizia va data:
15 Marzo: Giornata Mondiale del Sonno
Non ho capito a che serve: si può dormire tutto il giorno? Dovremo sorbirci esperti del sonno che in radio, alla tv, sui quotidiani, sui social ci romperanno le scatole per dirci che "Le ultime ricerche scientifiche confermano che per arrivare sani a 100 anni bisogna dormire almeno 7 ore per notte"?
venerdì 7 luglio 2017
Un'idea di apocalisse
Non ha qualcosa di apocalittico questa folla (65 mila persone, il 1° Luglio in Hyde Park) che canta insieme Bohemian Rhapsody?
Anche, insieme, qualcosa di assolutamente mistico.
Secondo me.
(poi, quelle torri luci/amplificazione piazzate lì in mezzo, come croci...)
martedì 26 luglio 2016
Mind Games
Buon compleanno Kevin!
(qualcuno mi ricorda che oggi anche Mike Jagger compie gli anni, ma vuoi mettere l'istrionico charme di Kevin? Non c'é storia: è lui la mia star...)
(qualcuno mi ricorda che oggi anche Mike Jagger compie gli anni, ma vuoi mettere l'istrionico charme di Kevin? Non c'é storia: è lui la mia star...)
lunedì 11 gennaio 2016
Un triste lunedì (senza David Bowie)
Dubito di riuscire a far altro oggi che rivedere e riascoltare David Bowie. Mi sta prendendo una sorta di nostalgia che somiglia a un lutto familiare, quello stato di introspezione in cui si precipita quando perdi un amico o una persona che è stata parte davvero significante della tua vita.
David Bowie ha segnato un momento, alcuni anni della mia vita, che forse più di tutti gli altri hanno fatto di me ciò che oggi sono.
Buon volo, Duca...
David Bowie ha segnato un momento, alcuni anni della mia vita, che forse più di tutti gli altri hanno fatto di me ciò che oggi sono.
The Man Who Sald The World in particolare, mi porta a un passo dalle lacrime, e nemmeno so bene perché, quali emozioni evoca, quali ore o giorni del passato vi sono legati perché non riesco a distinguere bene da tutti gli altri se non rari momenti separati. Ci sono stati i giorni di China Girl, quelli di Ashes to Ashes e quelli, senza tempo, di Space Oddity. In alcuni di questi momenti cammino per Londra, in altri sono in macchina con la musica a palla, in altri ancora sono nella vecchia prima casa bohemienne da cui entravano e uscivano amici a qualunque ora del giorno e della notte perché prima casa dell'indipendenza, quindi casa di nuove regole la prima delle quali era niente regole.
La casa di Scary Monster (And Super Creeps):
Mentre ascolto, mi tornano in mente volti, voci, situazioni, colori, gioie e tristezze, che evidentemente rimangono in me da allora, quando erano un vivo oggi che poi è finito nel buco nero del tempo che passa.
Per uno strano gioco del destino mi è capitato di incrociarlo, a distanza di un metro, per ben due volte: una prima volta a Londra, una seconda a New York, sempre casualmente e sempre sorprendentemente, per via di quell'inconfondibile effetto straniante che fa l'osservare un volto da cui ti guardano due occhi di diverso colore.
Non sono mai stata una grande appassionata di concerti, le masse mi turbano e quando è capitato ne sono uscita come se mi fosse stato sottratto qualcosa, una dimensione di ascolto solo mia, forse. Così, entrambe le volte è stato come se quell'incrociarlo casualmente fosse un segno di grazia tutto personale, tutto mio. Una specie di occasione di sommare per un istante sogno e realtà, di poter sbirciare dal buco della serratura nella quotidianità della Star che amava passeggiare con la mente fra le stelle, di metaforicamente toccar con mano quell'essere originale nato al mio mondo cantando dello spazio riducendo con questo la mia distanza fra l'infinito e la pozzanghera nella quale sguazzo e sulla quale attendo fiduciosa che a ogni primavera rispuntino nuovi fiori a dirmi che tutto può essere, che tutto può succedere, che tutto è parte di quell'infinito che ci pare così lontano e invece è a un passo dal poter essere fisicamente toccato.
Questo per dire la nostalgia, per dire che mi manca come può mancarci a volte quella parte della nostra storia che non saremo più, ciò che siamo stati un giorno e di cui non ci ricordiamo pur essendo sempre in noi quel lontano giorno. Per dire che ciò che ero è ormai fuso con ciò che sono e che ciò che sono stata è fuso insieme alla musica di David Bowie che ho amato e che oggi torna per ricordarmi che anche se muoiono gli uomini e i miti, le leggende restano.
domenica 22 giugno 2014
Fanculo il Rock&Roll
Forse è per la suggestione che evoca il luogo ma vero è che quando ho letto che per l'evento si sarebbe delimitata una "zona rossa" anche fuori e intorno il Circo Massimo per impedire l'accesso a chi è sprovvisto di regolare biglietto, la prima cosa cui ho pensato è stata: "Siamo a Rollerball!".
Altro che It's only Rock&Roll.
Avete presente il film?
Ambientato nel 2018 e in un mondo dove ormai "non esistono più nazioni, guerre, crimini, violenza o povertà; i governi sono sostituiti da un'unione di "Corporazioni" dirette da "Dirigenti" che controllano capillarmente la vita di tutto il pianeta, pur soddisfacendo sempre il bisogno di benessere di tutta la popolazione", per citare Wikipedia.
Siamo a giugno 2014 e mi pare che ci siamo, quasi...
Forse che i Governi non sono ormai quasi ovunque emanazione del potere delle Corporazioni?
Forse che i politici per essere eletti non devono ben prima di candidarsi sottoporsi all'esame di idoneità al ruolo di Dirigente facendo il giro delle sette chiese partendo da Washington per finire a Bruxelles passando per Dubai?
Pensatela come volete, ma per me ci siamo (quasi): un paio di guerrette qui e là, qualche ulteriore messa a punto del sistema di controllo individuale, ma solo per garantirci/si, sia chiaro, una sempre maggior sicurezza, e qualche povero in meno.
Poi è fatta.
Ma si fa in un batter d'occhio, comunque: basta lasciar fare al mercato, e lo sfoltimento dagli abusivi senza biglietto per la vita è assicurato in tempi brevissimi.
Roma oggi si inchina al Mercato del Rock&Roll e, diversamente che in Rollerball, dove gli atleti divi durano pochi anni e finiscono regolarmente massacrati, l'eterno si mummifica per garantire il circense da bollino blu: o sei dentro, o sei fuori.
E che bello esserne fuori...
Chiuso il Circo su se stesso, occultato da pesanti teli neri così che nemmeno ai residenti le cui finestre vi si affacciano sia consentito di sbirciare gratis la folla di fans paganti e i 4 salti dei vecchietti in attesa di padella dimenarsi come da copione vecchio di ormai mezzo secolo.
Nulla passerà dai posti di blocco se sprovvisto di ticket autentico, che pure i bagarini oggi hanno vita durissima grazie agli scanner che decideranno se un biglietto è stato regolarmente acquistato o è invece un falso (e pare ne girino parecchi).
Tutti felici i fans, di entrare dentro alla gabbia per godersi lo spettacolo dei culi secchi e di sberleffi straconsumati visti uguali da almeno l'Hyde Park Live '69, concerto allora gratuito e che oggi non usa più.
Penserete che non ami i Rollin' Stones, e sbagliereste...
E' che che questa idea di imbragarsi dentro un circo oscurato da teli neri e circondati da una "zona rossa" presidiata da polizia (come non pensare al G8 di Ge?) e di varchi accessibili solo con biglietto scanerizzato mi azzera l'idea di festa sembrandomi più un funerale.
Privatissimo, perdipiù.
E trovo maledettamente stronza questa band che dopo 50 anni che macina tanto denaro quanto una multinazionale anziché aprirli, i cancelli, vi si barrichi dentro a difesa del contante e del diritto Siae.
Mi fanno tristezza.
Una grande immensa tristezza.
Che festa è mai quella che per iniziare ha bisogno di nascondersi, di schermarsi, di bloccare una città e di oscurare la vista (oddio, gratuita!) anche a chi sul Circo ha la fortuna di potersi affacciare ogni dannata mattina che dio manda in terra?
Non oggi.
Ciò che non so bandire dalla mia mente, nonostante ami Jumpin' Jack Flash ma anche di più White Horses (e chi c'era c'era e chi non c'era non se lo può inventare), è quel velo nero che avvolge il Circo come un sudario funebre tirato su a difesa dell'incasso contro il diritto di camminare per le proprie strade di chi vi abita senza dover esibire i documenti solo per tornarsene a casa.
Ancora qualche anno e, ormai complice e servo di quel Mercato di cui ha bisogno il mondo senza guerre (e ne fa così tante oggi solo per garantirsi un mondo uniforme nei gusti e nei riti domani), senza più poveri (che non comprando nulla non servono a nulla), senza più crimini (sventati prima che accadano grazie alla grande Matrix), senza più nazioni (che la globalizzazione sta provvedendo a rendere obsolete), senza più governi (che per dirigere la Fabbrica Terra bastano dei Dirigenti fedeli al Dio Capitale), di questo Rock&Roll non resterà che il ricordo stantìo di ciò che lo ha connotato fin dalle origini: l'essere un mezzo, detestato dal potere, per mandare a fanculo il potere.
Potere che oggi invece, fatti i soldi veri grazie ai fedeli fans, il Rock&Roll serve.
Così lo sberleffo oggi glielo faccio io, a Mick Jagger&Co.
But it's all right now, in fact, it's a gas!But it's all right, Im jumpin jack flash,Its a gas! gas! gas!
sabato 23 novembre 2013
Summertime
...fish are jumpiiing…and the cotton is hiiight…
Già, proprio quella.
Ti svegli al mattino, apri le
news, guardi fuori, apri la finestra…
…e ti prende la depressione…
Intanto, da giorni, ti canta
dentro quel pezzo…
…your daddy’s rich, and
your mom’s good looking…so hush, little baby, don’t you cry…
Alla radio, qualche giorno
fa, raccontavano la storia della grandissima Ella Fitzgerald.
Ancora
negli anni ’50 i grandi della musica nera potevano esibirsi quasi esclusivamente nei
piccoli teatri, spesso solo in quelli destinati al pubblico di colore, non riuscendo chi voleva far musica a ottenere contratti nei
grandi teatri per via della discriminazione razziale.
Così c'erano queste band di musicisti neri che giravano da uno stato
all’altro, da una cittadina di provincia al sottoscala nella periferia di una
metropoli dove un nero era tollerato giusto come facchino o come arlecchino, non certo pretendere di essere
pienamente apprezzato come artista.
Chilometri su strade
polverose o bloccate da metri di neve per un contratto da quattro soldi e con il rischio
di uscirne pure pestati, a fine spettacolo, da manipoli di integerrimi bianchi.
O di venir truffati dal padrone del locale stesso, il quale non raramente accampava che la musica non era piaciuta per non pagarli o per comunque provare a ridurre il pattuito.
O di venir truffati dal padrone del locale stesso, il quale non raramente accampava che la musica non era piaciuta per non pagarli o per comunque provare a ridurre il pattuito.
Negli States, queste
piccole band nella quali suonavano quelli che oggi conosciamo come i grandi del
jazz, gente come Charlie Parker, Miles Davis, Louis Armstrong o Dizzie
Gillespie, tanto per citare i più conosciuti, riuscivano raramente a
camparci, con la musica.
Non erano pochi quelli che per racimolare di che vivere si adattavano a suonare come elemento di contorno in
una ballroom dove un’orchestra di bianchi avesse un contratto stabile:la musica era anche mestiere per portare a casa di che far mangiare moglie e figli.
A volte poi montavano su un auto sgangherata per un tour, raramente accompagnati da voci femminili come appunto quella di Ella Fitzgerald,
Sarah Vaughan o dell’altra grande e sfortunatissima voce del jazz: Nina Simone.
Le donne del jazz di quegli anni hanno avuto tutte, nessuna esclusa, una vita estremamente complicata: nere e donne, non sapevano stare nell'unico posto consentito a una donna, di qualsiasi colore fosse, almeno fino agli anni '60: la cucina e la camera da letto.
Così riuscivano a entrare in una band solo se amanti temporanee di uno della band o di un improbabile manager.
Per il resto, vita da bar notturni, molte botte e alcool/droghe a fiumi.
Poche quelle morte in età avanzata.
Pochissime quelle che sono riuscite a campare degnamente con la loro musica.
Poche anche le fortunate band
che riuscivano a ottenere contratti stabili nei piccoli jazz club frequentati dai vip di allora: erano locali esclusivamente per bianchi e vietati ai neri, ammessi solo sul palco, non certo al tavolo.
Più fortuna avevano quelli
di loro che riuscivano a emigrare in Europa, a Parigi o in Costa Azzurra, dove negli
anni ’20 e '30 giravano pletore di giovani intellettuali americani a caccia di ispirazione letteraria, soldi a palate e
champagne a fiumi.
Vedi Il Grande Gatsby e F.
Scott Fitzgerald, giusto per citare periodo e clima.
Una che ebbe un successo strepitoso a
Parigi in quegli anni fu la mitica Joséphine Baker, la Venere Nera. Arrivata lì al seguito della Revue Nègre e divenuta in poco tempo prima ballerina e cantante al teatro
degli Champs-Elysées, incantava tutti i maschi di Parigi ballando e cantando con chili di frutta e
piume in testa, spesso nuda, cosa che non disturbava nessuno tranne doversi lei spesso vendicare per meschine allusioni al colore della sua pelle con balletti in stile Yes, we have no bananas.
Per dire.
Per dire come, anche
quando apprezzato come artista, il nero avesse una quotidianità difficile e
come il razzismo non venisse mai meno neanche quando raggiungeva ricchezza e notorietà in Europa.
Ma torniamo a Ella Fitzgerald e a Summertime.
Fu grazie a Marylin Monroe
che Ella riuscì a ottenere di potersi esibire al Mocambo di Hollywood, famosissima
sala frequentata all’epoca da star del calibro di Clark Gable,
Charlie Chaplin, Humphrey Bogart, Lauren Bacall e Lana Turner.
Marilyn fece un accordo
con il titolare del locale: se avesse consentito a Ella di esibirsi, lei avrebbe
prenotato un tavolo in prima fila sotto il palco tutte le sere.
Cosa che poi fece.
Fu così che il 15 marzo
del 1955 Ella Fitzgerald poté spiccare il volo verso una notorietà e un
successo internazionale.
Ma non era certo una perfetta sconosciuta Ella, prima del prodigioso intervento dell'amica Marilyn Monroe.
Aveva già inciso un disco, nel
1936, che aveva avuto un discreto successo, Loves and Kisses, per la Decca Records, e già si esibiva con un buon successo di pubblico
all’Harlem Opera House
teatro nel quale si esibivano le più grandi star del jazz fino alla metà degli anni ’40 del secolo scorso e si trovava a poca distanza del più conosciuto Apollo Theatre.
teatro nel quale si esibivano le più grandi star del jazz fino alla metà degli anni ’40 del secolo scorso e si trovava a poca distanza del più conosciuto Apollo Theatre.
Quel mitico tempio del jazz (l'Harlem Opera House) fu demolito 1959 (circa, perché non c'è una data precisa della sua demolizione, solo una data in cui è certo che fosse ancora in piedi).
Nel 1938 Ella aveva inciso un secondo disco, la versione giocosa di una filastrocca per bambini conosciuta come "A-Tisket,
A-Tasket.", che aveva venduto circa 1 milione di copie.
Stamattina, vista l’aria
che tirava, in ogni senso, ho seguito le note che mi cantavano dentro finendo
per scaricare le tracce audio di ben 17 diverse versioni di Summertime, sorta
di ninnananna che viene cantata già nell'introduzione al primo atto di Porgy&Bess, opera di G. Gershwin e pezzo ormai
presente nel repertorio di ogni star della musica di un qualche talento.
L’hanno cantata o suonata
tutti: da Keith Jarret a Janis Joplin, da Mina a Maria Callas fino a
James Brown (sua la versione che amo di più fra tutte).
Per dirne solo alcuni.
Ella Fitzgerald, con Louis
Armostrong, la incise nel 1957 sempre per la Decca Records.
Quando George Gershwin gliela
sentì cantare la prima volta, mentre provava i testi di Porgy&Bess, disse: “I never
knew how good our songs were until I heard Ella Fitzgerald sing them”.
"Non ho mai capito quanto buone fossero le nostre canzoni fino a quando le sentii cantare da Ella Fitzgerald".
Per dire.
La prima registrazione assoluta di
Summertime è invece del luglio 1935 ed è cantata da Abbie Mitchell, con al piano George Gershwin , il quale stava ancora terminando di orchestrare Porgy&Bess (cliccando sul link, potete ascoltare proprio quella prima registrazione originale).
Lo spettacolo sarà poi allestito nel novembre dello stesso anno proprio all’Harlem Opera House di New York, quello cui si accennava poco sopra.
Qui sotto il testo e, se cliccate qui, potete ascoltare Ella mentre la canta accompagnata alla tromba da Louis Armstrong.
Summertime,
And the livin' is easy
Fish are jumpin'
And the cotton is high
Your daddy's rich
And your mamma's good lookin'
So hush little baby
Don't you cry
One of these mornings
You're going to rise up singing
Then you'll spread your wings
And you'll take to the sky
But till that morning
There's a'nothing can harm you
With daddy and mamma standing by
Summertime,
And the livin' is easy
Fish are jumpin'
And the cotton is high
Your daddy's rich
And your mamma's good lookin'
So hush little baby
Don't you cry
lunedì 28 ottobre 2013
Domenica, il giorno perfetto per morire
E' stata A perfect day, la prima che m'é venuta in mente ieri.
Poi ho barattato le mie intenzioni mediando, con chi non ha mai molto amato Lou Reed, la bellissima There She Goes Again.
Mentre la riascoltavo, dopo aver postato il video, è arrivata un'inaspettata sentenza:
" Sopravvalutato, icona di un certo intellettualismo fine a se stesso...".
Ho tolto il video, disturbata dalla sgradevole sensazione di una dissonanza vibratami da chi si atteggia, molto intellettualmente, a anti-intellettuale, con la limitata idea che solo un rumore che martelli le pulsazioni del sangue fin sulle tempie sia rock apprezzabile.
Non è stato A perfect day ieri, pur essendo abitualmente la domenica, il mio giorno perfetto.
A seguire mi è arrivata la sfida, lanciata con velato cinismo:" Nessuno che abbia avuto l'onestà intellettuale di ricordarlo postando Heroin...".
Mi accorgo in quell'esatto momento che questo titolo si nasconde con disagio anche nei miei ricordi.
Vorrei accettarla, quella sfida, e postare Heroin. Ma poi, solo a riascoltarne le prime note, mi piomba addosso una pesante malinconia.
Stamattina l'ho iniziata leggendo un pezzo sulle profezie Hopie che paiono non c'entrare ma c'entrano. Nel pezzo si parla del piantare qualcosa per connettersi alla Terra e così appartenerle, e mi scopro a ripensare al mio alberello piantato in mezzo al prato anni fa, alle molte piante che l'hanno seguito, alla siepe mollata a metà per via del tempo instabile e al fango che ne consegue, e m'intristisco pensando che forse non riuscirò a terminare di potarla ormai fino al prossimo marzo.
Mi accorgo di come ciò che in me è da sempre vibrante passione, cioè l'amore per la terra e il verde, si stia spegnendo nel tentativo di mediare fra una pretesa razionalità tagliente e un sentimento di misticismo terragno che occulto per amor di patria.
Con la seconda lettura del giorno arriva ancora Lou Reed, di nuovo con A perfect day, citata qui, insieme a Sunday Morning.
E' indubbiamente la domenica il mio giorno perfetto, ma l'ho mancato ieri fin dal mattino.
Una giornata grigia di fine ottobre, trascinata fino a sera con quel velo di nebbia fuori e dentro quasi a volermi nascondere le dissonanze intorno a me per la consapevolezza del loro esplosivo potenziale.
Una domenica perfetta per tenere socchiuse le imposte tutto il giorno.
Una domenica perfetta per Street Hassle, più che A perfect day, a ripensarci.
Un lunedì invece oggi, perfetto per ricordare a mio agio i lontani lunghissimi pomeriggi domenicali passati a parlare del mondo, a scavare in noi quel desiderio, allora comune, di costruirsi una vita futura mai piegata, mai asettica, mai consona alle aspettative altrui.
Intere domeniche pomeriggio passate ascoltando ancora e ancora Berlin, per finire poi, da supremo artista qual era Lou Reed, compagno di quei molti pomeriggi, per dire lui addio al mondo in un Sunday morning di questo ottobre nebbioso e umido che ci trova tutti nel bel mezzo di un mondo che pare dirci con estrema chiarezza la fine di tutti i nostri sogni.
L'addio, sincopato al ritmo di Afterhours, a ogni possibile connessione futura con la poesia di una Terra Madre, ormai ovunque devastata da cemento, dighe, elettrodotti e inutili ma proficui sventramenti di montagne.
Una stagione e un giorno perfetti, ieri, per decidere di calare il sipario salvando appena in tempo la poesia su cui s'é consumata l'intera sua vita.
R.I.P. Lou. It's time to say Goodnight Ladies, qui non è più aria...
P.S. Qui, per chi ha un'oretta da spendere, Lou Reed Rock&Roll Hearth, film sulla vita di Lou Reed.
P.P.S. Cliccato e ascoltato in religioso silenzio ogni pezzo linkato? Programmata un'oretta da perdere stanotte per vedere il film linkato in coda al post così da sapere tutto ma proprio tutto tutto su Lou?
Bene, è arrivato martedì ed è tempo di farsi due grasse risate su se stessi cliccando proprio qui.
Sù con la vita, Lou l'é morto, ciò che ha registrato resta. Ed è una marea di roba da ascoltare/vedere come sempre abbiamo fatto fin qui...
Poi ho barattato le mie intenzioni mediando, con chi non ha mai molto amato Lou Reed, la bellissima There She Goes Again.
Mentre la riascoltavo, dopo aver postato il video, è arrivata un'inaspettata sentenza:
" Sopravvalutato, icona di un certo intellettualismo fine a se stesso...".
Ho tolto il video, disturbata dalla sgradevole sensazione di una dissonanza vibratami da chi si atteggia, molto intellettualmente, a anti-intellettuale, con la limitata idea che solo un rumore che martelli le pulsazioni del sangue fin sulle tempie sia rock apprezzabile.
Non è stato A perfect day ieri, pur essendo abitualmente la domenica, il mio giorno perfetto.
A seguire mi è arrivata la sfida, lanciata con velato cinismo:" Nessuno che abbia avuto l'onestà intellettuale di ricordarlo postando Heroin...".
Mi accorgo in quell'esatto momento che questo titolo si nasconde con disagio anche nei miei ricordi.
Vorrei accettarla, quella sfida, e postare Heroin. Ma poi, solo a riascoltarne le prime note, mi piomba addosso una pesante malinconia.
Stamattina l'ho iniziata leggendo un pezzo sulle profezie Hopie che paiono non c'entrare ma c'entrano. Nel pezzo si parla del piantare qualcosa per connettersi alla Terra e così appartenerle, e mi scopro a ripensare al mio alberello piantato in mezzo al prato anni fa, alle molte piante che l'hanno seguito, alla siepe mollata a metà per via del tempo instabile e al fango che ne consegue, e m'intristisco pensando che forse non riuscirò a terminare di potarla ormai fino al prossimo marzo.
Mi accorgo di come ciò che in me è da sempre vibrante passione, cioè l'amore per la terra e il verde, si stia spegnendo nel tentativo di mediare fra una pretesa razionalità tagliente e un sentimento di misticismo terragno che occulto per amor di patria.
Con la seconda lettura del giorno arriva ancora Lou Reed, di nuovo con A perfect day, citata qui, insieme a Sunday Morning.
E' indubbiamente la domenica il mio giorno perfetto, ma l'ho mancato ieri fin dal mattino.
Una giornata grigia di fine ottobre, trascinata fino a sera con quel velo di nebbia fuori e dentro quasi a volermi nascondere le dissonanze intorno a me per la consapevolezza del loro esplosivo potenziale.
Una domenica perfetta per tenere socchiuse le imposte tutto il giorno.
Una domenica perfetta per Street Hassle, più che A perfect day, a ripensarci.
Un lunedì invece oggi, perfetto per ricordare a mio agio i lontani lunghissimi pomeriggi domenicali passati a parlare del mondo, a scavare in noi quel desiderio, allora comune, di costruirsi una vita futura mai piegata, mai asettica, mai consona alle aspettative altrui.
Intere domeniche pomeriggio passate ascoltando ancora e ancora Berlin, per finire poi, da supremo artista qual era Lou Reed, compagno di quei molti pomeriggi, per dire lui addio al mondo in un Sunday morning di questo ottobre nebbioso e umido che ci trova tutti nel bel mezzo di un mondo che pare dirci con estrema chiarezza la fine di tutti i nostri sogni.
L'addio, sincopato al ritmo di Afterhours, a ogni possibile connessione futura con la poesia di una Terra Madre, ormai ovunque devastata da cemento, dighe, elettrodotti e inutili ma proficui sventramenti di montagne.
Una stagione e un giorno perfetti, ieri, per decidere di calare il sipario salvando appena in tempo la poesia su cui s'é consumata l'intera sua vita.
R.I.P. Lou. It's time to say Goodnight Ladies, qui non è più aria...
P.S. Qui, per chi ha un'oretta da spendere, Lou Reed Rock&Roll Hearth, film sulla vita di Lou Reed.
P.P.S. Cliccato e ascoltato in religioso silenzio ogni pezzo linkato? Programmata un'oretta da perdere stanotte per vedere il film linkato in coda al post così da sapere tutto ma proprio tutto tutto su Lou?
Bene, è arrivato martedì ed è tempo di farsi due grasse risate su se stessi cliccando proprio qui.
Sù con la vita, Lou l'é morto, ciò che ha registrato resta. Ed è una marea di roba da ascoltare/vedere come sempre abbiamo fatto fin qui...
giovedì 6 gennaio 2011
Mia zia e Vivaldi
Mia zia era bellissima: alta, capelli neri un po' mossi, occhi blu, fascinosa come un'attrice della vecchia Hollywood.
Da una storia d’amore finita male (lui sparì improvvisamente quando seppe che lei era incinta) è nata mia cugina.
Ragazza madre, mia zia era fonte di vergogna in famiglia per quella figlia senza alcun marito, l’esempio che mi veniva additato di come sarei finita io, a non rispettare le regole e a voler fare sempre di testa mia.
Nata disobbediente, anziché un modello negativo, ho sempre visto in lei un modello da imitare.
Mi piaceva quel suo non provare alcuna vergogna per quella figlia illegittima, il suo lavorare lontana da casa, l'aria sofisticata che portava dalla città quando tornava ogni volta con giocattoli bellissimi e libri di fiabe sconosciute.
Insomma, mia cugina, ai miei occhi, era in realtà molto più fortunata di me.
Ragazza madre, mia zia era fonte di vergogna in famiglia per quella figlia senza alcun marito, l’esempio che mi veniva additato di come sarei finita io, a non rispettare le regole e a voler fare sempre di testa mia.
Nata disobbediente, anziché un modello negativo, ho sempre visto in lei un modello da imitare.
Mi piaceva quel suo non provare alcuna vergogna per quella figlia illegittima, il suo lavorare lontana da casa, l'aria sofisticata che portava dalla città quando tornava ogni volta con giocattoli bellissimi e libri di fiabe sconosciute.
Insomma, mia cugina, ai miei occhi, era in realtà molto più fortunata di me.
Fra le molte cose di cui sono debitrice a mia zia, la passione per la musica.
Fin da dall'età delle elementari ci spediva, con mio fratello e mia cugina, a comprare dischi di musica classica con un elenco dettagliato di precisazioni non solo sul compositore o sull'opera, ma di quale casa discografica doveva essere il disco e suonato da quale pianista o quale cantante d'opera.
Fin da dall'età delle elementari ci spediva, con mio fratello e mia cugina, a comprare dischi di musica classica con un elenco dettagliato di precisazioni non solo sul compositore o sull'opera, ma di quale casa discografica doveva essere il disco e suonato da quale pianista o quale cantante d'opera.
Quando l’altra sera sono partite le prime note dell’Inverno di Vivaldi, eseguito magistralmente da un M.o semisconosciuto che nulla ha da invidiare a Salvatore Accardo o a Uto Ughi (non scherzo e non esagero: violinista da brividi) mi sono trovata a ricordare i pomeriggi in cui, con mio fratello e mia cugina, ascoltavamo per ore Le Quattro Stagioni giocando a imitare un comicissimo (e serio) direttore d’orchestra.
L'altra sera, come allora, mi sono persa a dirigere mentalmente l’esecuzione con la stessa partecipazione convinta con cui lo facevo da bambina.
Con gli occhi chiusi, seguivo il violino in attesa di ogni nota conosciuta sentendomi trapassare dalla musica come fosse un misterioso liquido che entrava letteralmente in me. Sentivo la musica entrare nella pelle, dentro i muscoli, dietro gli occhi chiusi. Ho pensato, in quei momenti, che se lasci che la musica ti penetri, che ti entri dentro, abbandonandoti completamente alla sensazione che possa davvero attraversarti i pori per mescolarsi ai nervi, ai muscoli, al sangue, la musica cambia la struttura della tua materia. La musica ha, ne sono convinta, questo potere di trasformazione fisica, non solo mentale: ti riallinea, ti rimpasta, ti ricombina le cellule e ti restituisce al mondo come rinnovato.
Con gli occhi chiusi, seguivo il violino in attesa di ogni nota conosciuta sentendomi trapassare dalla musica come fosse un misterioso liquido che entrava letteralmente in me. Sentivo la musica entrare nella pelle, dentro i muscoli, dietro gli occhi chiusi. Ho pensato, in quei momenti, che se lasci che la musica ti penetri, che ti entri dentro, abbandonandoti completamente alla sensazione che possa davvero attraversarti i pori per mescolarsi ai nervi, ai muscoli, al sangue, la musica cambia la struttura della tua materia. La musica ha, ne sono convinta, questo potere di trasformazione fisica, non solo mentale: ti riallinea, ti rimpasta, ti ricombina le cellule e ti restituisce al mondo come rinnovato.
Uscita, mi pareva che nessun posto fosse bello come quella piazzetta in collina, quell’albero decorato di lucine, quel borgo di vecchie case immerse nel freddo pungente.
Con dentro l'Inverno di Vivaldi, ho camminato come rapita su per il vicolo di pietra fino all'osteria, dove il camino acceso e l'atmosfera semplice e calda di quei quattro tavoli di legno ha prolungato una sensazione che ho voluto consacrare con un calice di dolce vino rosso.
Dall’altra sera ripenso al regalo incredibile di aver avuta nella mia famiglia una simile meravigliosa peccatrice, capace di contagiarmi con le sue passioni.
Potrei amare così tanto oggi, certa musica, se non ne conoscessi, grazie alle sue inconsapevoli lezioni, ogni nota, fin da quando a otto anni la "dirigevo"?
Potrei amare così tanto oggi, certa musica, se non ne conoscessi, grazie alle sue inconsapevoli lezioni, ogni nota, fin da quando a otto anni la "dirigevo"?
sabato 18 dicembre 2010
Canned Heat
Stasera alla radio, in macchina, un pezzo dei Canned Heat. Roba di trent’anni fa. Woodstock. Calava la nebbia mentre guidavo. Scendeva lenta. Piano piano. Un velo. Per un tratto e un paio di minuti, tutto è sembrato perfetto. Fuori il mondo ovattato, quasi protettivo. I fari di posizione delle auto in fila davanti a me. Sorta di molliche luminose che bastava seguire senza fretta. Alla radio, una simpatica botta di energia:"I’m going up the country / baby, don’t you wanna go…". Una leggera pressione all’acceleratore e il freno a un paio di cm, caso mai dovesse servire: "I'm gonna leave this city, got to get away / All this fussing and fighting, man, you know I sure can't stay…". Chissà perché mi faccio sempre tremila domande sul senso delle cose. No, più che sulle "cose", sul senso della vita. Della mia vita. Come se da qualche parte, a forza di pensare, fosse disponibile una soluzione definitiva, una risposta delle risposte che mi farà uscire sparata a razzo fuori da questo girone che, più che infernale, mi pare noioso fino a morirne. Per proiettarmi dove, poi? In quale altro? Dove sta scritto che un altro girone è meglio di questo? Incrocio per un attimo facce dal finestrino delle auto che vanno in senso opposto. Fermi, ci sbirciamo fingendo di no. Chissà quali segreti, le altre vite. Insieme casualmente, lo stesso metro di strada ma su lati opposti. Vicini, fermati da semafori che ci accomunano per un uguale rosso e ci scoprono all'altro come sospesi. A parte i gas di scarico, non condividiamo che l'imbarazzo di guardarci per inerzia. Se a fermarci è un pedone sulle strisce, non è lo stesso pedone. Il semaforo, lontano chissà dove, non è il “nostro”, ognuno ha il proprio, il mio non è il loro. Si incrocia lo sguardo però. Ci si spia per noia, giusto un secondo. Anche meno. Però serve a fare vivo un tempo morto. Mi attrae il loro essere, come me, carne pulsante intrappolata fra gas e lamiere. Ho bisogno che mi si confermi, anche se con uno sguardo annoiato, che non sono l'unica vittima nella dittatura del caos. Poi si riparte:"No use of you running or screaming and crying /'Cause you got a home as long as I've got mine". Al cancello automatico del garage avevo questa associazione:>Canned Heat>Woodstock>Jefferson Airplane>White Rabbit. "When logic and proportion / Have fallen sloppy dead / And the White Knight is talking backwards / And the Red Queen's "off with her head!" - Remember what the dormouse said:"Feed your head / Feed your head / Feed your head". Feed your head. No, stasera continuo la lettura del Genij Monogatari. Mi rilassa Genij. Adoro questi cinesi che, di qualunque cosa scrivano, alla fine descrivono sempre la natura come metro di ogni vita. Amori come le stagioni, passioni come primavere che sbocciano o estati che bruciano. Bambini come giovani ramoscelli fioriti scossi dal vento in primavera. Poesie al posto dei pensieri e musica da suonare al chiaro di luna. Sì sì: Murasaki Shikibu perla Ross stasera. Feed your head. Per cena bastano due mele. Magari sgranocchio pure una carota, bando alla miseria e nessun semaforo.
Stasera alla radio, in macchina, un pezzo dei Canned Heat. Roba di trent’anni fa. Woodstock. Calava la nebbia mentre guidavo. Scendeva lenta. Piano piano. Un velo. Per un tratto e un paio di minuti, tutto è sembrato perfetto. Fuori il mondo ovattato, quasi protettivo. I fari di posizione delle auto in fila davanti a me. Sorta di molliche luminose che bastava seguire senza fretta. Alla radio, una simpatica botta di energia:"I’m going up the country / baby, don’t you wanna go…". Una leggera pressione all’acceleratore e il freno a un paio di cm, caso mai dovesse servire: "I'm gonna leave this city, got to get away / All this fussing and fighting, man, you know I sure can't stay…". Chissà perché mi faccio sempre tremila domande sul senso delle cose. No, più che sulle "cose", sul senso della vita. Della mia vita. Come se da qualche parte, a forza di pensare, fosse disponibile una soluzione definitiva, una risposta delle risposte che mi farà uscire sparata a razzo fuori da questo girone che, più che infernale, mi pare noioso fino a morirne. Per proiettarmi dove, poi? In quale altro? Dove sta scritto che un altro girone è meglio di questo? Incrocio per un attimo facce dal finestrino delle auto che vanno in senso opposto. Fermi, ci sbirciamo fingendo di no. Chissà quali segreti, le altre vite. Insieme casualmente, lo stesso metro di strada ma su lati opposti. Vicini, fermati da semafori che ci accomunano per un uguale rosso e ci scoprono all'altro come sospesi. A parte i gas di scarico, non condividiamo che l'imbarazzo di guardarci per inerzia. Se a fermarci è un pedone sulle strisce, non è lo stesso pedone. Il semaforo, lontano chissà dove, non è il “nostro”, ognuno ha il proprio, il mio non è il loro. Si incrocia lo sguardo però. Ci si spia per noia, giusto un secondo. Anche meno. Però serve a fare vivo un tempo morto. Mi attrae il loro essere, come me, carne pulsante intrappolata fra gas e lamiere. Ho bisogno che mi si confermi, anche se con uno sguardo annoiato, che non sono l'unica vittima nella dittatura del caos. Poi si riparte:"No use of you running or screaming and crying /'Cause you got a home as long as I've got mine". Al cancello automatico del garage avevo questa associazione:>Canned Heat>Woodstock>Jefferson Airplane>White Rabbit. "When logic and proportion / Have fallen sloppy dead / And the White Knight is talking backwards / And the Red Queen's "off with her head!" - Remember what the dormouse said:"Feed your head / Feed your head / Feed your head". Feed your head. No, stasera continuo la lettura del Genij Monogatari. Mi rilassa Genij. Adoro questi cinesi che, di qualunque cosa scrivano, alla fine descrivono sempre la natura come metro di ogni vita. Amori come le stagioni, passioni come primavere che sbocciano o estati che bruciano. Bambini come giovani ramoscelli fioriti scossi dal vento in primavera. Poesie al posto dei pensieri e musica da suonare al chiaro di luna. Sì sì: Murasaki Shikibu per
18 Gennaio 2010
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