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martedì 1 febbraio 2022

#mettinome (...)

La premessa: certi obiettivi vengono partoriti così lontani nel tempo che quando arrivano a realizzazione le loro origini sono ormai sepolte sotto così tanti metri di terra che manco i vermi riescono a cibarsene:

"L'aggressione verbale, ovvero la misura più coerente, reiterata e pervasiva applicata dal governo #mettinome (...), viene riconosciuta e discussa, ma di rado analizzata come parte integrante della politica #mettinome. Da tutti i mezzi di comunicazione #mettinome, dai discorsi di (...), dalle trasmissioni radiofoniche, dai giornali, dalle riviste, dai film, dai libri scolastici, dai manifesti, scaturiva un fiume costante, onnipresente, di contumelie verso gli (...) Esso era soprattutto l'espressione, la dichiarazione delle convinzioni più profonde di (...) e dei suoi seguaci, che proclamavano l'intenzione di liberare la (...) dal presunto (...). Una violenza verbale rivolta al pubblico (...), ma anche agli (...), tesa com'era a confermare il primo nelle sue convinzioni e insieme infondere spavento nei secondi; queste misure terroristiche avevano lo scopo emotivamente gratificante di far precipitare gli #mettinome nella paura, e quello programmatico di indurli ad abbandonare la (...) e, si sperava, a lasciarla in pace per il futuro. L'aggressione verbale contribuì alla medesima stregua delle altre misure a trasformare gli (...) in esseri socialmente morti, completamente privi di dignità e onore, e nei confronti dei quali i (...) non avevano alcun obbligo morale. Un sopravvissuto così ricorda questo aspetto della politica (...) nel periodo successivo al boicottaggio del 1° aprile:" Il fuoco di sbarramento della propaganda si riversava sugli (...) con immutata violenza e intensità. Incessante, ripetitiva, l'idea che gli (...) fossero creature subumane, fonti di ogni male, veniva conficcata a forza nella mente dei lettori e degli ascoltatori. (...) Fra tutte le misure intraprese, la separazione giuridica e amministrativa degli #mettinome dalla comunità (...) poteva considerarsi l'equivalente “non verbale“  dell'aggressione verbale. (...) L'esclusione graduale e sistematica degli #mettinome dalla sfera pubblica - politica, sociale, economica, culturale - ebbe su di essi un effetto di logoramento grave quanto la sofferenza provocata dalle difficoltà economiche che ne derivavano.

Qui sotto un esempio di aggressione verbale "reiterata e pervasiva" :

1. 

2. E un esempio degli esiti di una "aggressione verbale reiterata e pervasiva" veicolata ogni giorno da 2 anni, su tutti i media
 
Il testo citato è quello "In lettura", I volonterosi carnefici di Hitler, scritto da Daniel J. Goldhagen
Libro che a ogni pagina mi ricorda quasi in fotocopia gli ultimi due anni di follia, alimentata dai media ma accettata da una percentuale talmente alta della popolazione da essere con oggi arrivata a un livello di discriminazione nei confronti di chi non cede alla narrazione tossica e alle minacce, da rendere le pagine di questo libro più attuali che mai.
Non potendo chiamare le cose con il loro nome, mi affido al portentoso hashtag #mettinome (emulando i cordogli standard di una nota Ministra), per evitarmi inutili lezioncine sui #paragonivietati con quanto accaduto nella Germania degli anni '30, e che riassumo in un pensiero partorito già del febbraio 2020: nulla di quanto è successo e sta succedendo sarebbe stato possibile senza la volonterosa collaborazione sia delle vittime della propaganda dei media, che dei più subdoli collaborazionisti i quali, pur sapendo, si adeguano per conformismo, per vigliaccheria, per spuntare qualche piccolo spazio vitale in spregio al destino di quelli che, coerentemente con ciò in cui credono, soccombono alla carcerazione senza colpa e mai cederanno ai propri aguzzini.
Il mondo non cambia perché lo vogliono i potenti criminali, cambia perché i più cedono subito per convenienza, per salvare la loro piccola vita accettano di sacrificare anche quella di un paio di generazioni che non hanno ancora i mezzi né il potere di dire no e opporsi.
Anche negli anni '30 c'erano, pochi in percentuale ma c'erano, dei tedeschi che insomma, non erano d'accordo con le persecuzioni e le discriminazioni, e suggerivano che in fondo, sarebbe bastato impedire ai perseguitati di vivere vicini a loro, sarebbe bastato farli vivere in apposite zone fuori dal centro, perché erano brutte da vedere quelle file di persone arrestate che venivano avviate tutte in fila e con pochi stracci presi al volo sotto la minaccia delle armi, verso luoghi chiamati "campi di lavoro".
Non iniziò subito con lo sterminio, iniziò da subito con leggi amministrative che vietavano l'accesso agli uffici pubblici, ai luoghi di cultura e divertimento, la frequentazione di parchi pubblici e luoghi di pratica sportiva.
Ma voi, gente perbene, state tranquilli, scaricatevi il green pass e sarete liberi di fare tutto.
Discriminata da 2 anni, da oggi mi sarà impedito anche l'accesso a tutto, tranne alle code per la sbobba.
Soffro? No, sono solo molto triste, non pensavo che ancora una volta sarebbe stato il conformismo di chi poteva opporsi senza danno e non l'ha fatto, a dare potere al potere.

domenica 10 gennaio 2021

Cosa ho imparato grazie a Trump

Lezione n° 1:

- Twitter, Facebook o Google (o Amazon) hanno più potere del Presidente degli Stati Uniti d'America: sono loro a chiudergli la bocca, non il contrario

Lezione n° 2:

- A conferma del punto 1: i milioni di followers di Trump su Twitter, per punire Twitter della censura al POTUS, pensano di spostarsi in massa su Parler (che ha i propri server su Amazon), perché "lì non ti censurano". Tempo 24h e Parler viene cacciato dai server di Apple, Amazon, Google

Lezione n° 3:

-  Più che Parler potè Gab. Gab è, secondo quanto si legge su Wikipedia, un social dove possono parlare liberamente, cioè senza subire le "anti-democratiche" censure dei cattivoni di cui sopra, tutti i neo-nazi, gli antisemiti, i fanatici religiosi di destra, ecc. Appurato che quel che dici non disturba che quelli che la pensano diversamente da te, ognuno si scelga una gabbia idonea fra le due disponibili, poi #andratuttobene

Lezione n° 4:

- La "libertà di parola", la "democrazia", i "diritti costituzionali" sono termini presenti nei commenti sui social quasi quanto "fakenews", "no-vax", "i negazionisti". La necessità di limitare il numero di parole usate, forzata dai social, sta facendo il lavoro necessario ad arrivare all'ormai noto Grande Reset. Una volta lì, si potrà dire ciò che si vuole con un solo educatissimo #hashtag, ognuno previa validazione del leader della propria gabbia di appartenenza

Lezione n° 5:

- Qualcuno dice che basterebbe cacciare l'attuale governo per migliorare la triste situazione in cui viviamo. Non mi spiego come si possa pensare che Jack Dorsey, Mark Zuckerberg o Jeff Bezos possano prendere ordini dai nostri futuri Presidenti del Consiglio. Abbiamo candidati con più potere e più palle di Donald Trump? Non mi si citi #GoldMan'SacDraghi, ma qualcuno ha osato perfino Letta #staisereno

Come dicevo, la questione "Trump" è la lezione delle lezioni sul mondo in cui viviamo, quella definitiva.

L'altra, che va insieme, è che anche i migliori fra noi non vedono la gabbia e sognano la futura immensa libertà di poter eleggere da chi farsi prendere per i fondelli in futuro.

Dopo 1984, direi che urge rileggere La fattoria degli animali.

P.S. M'é capitato di rileggere ieri un mio vecchio post del 2014. Teoricamente parlavo di Rock&Roll, ma rileggendolo ho capito perché se mi dicono che sono folgorata non me la devo prendere...

domenica 20 settembre 2020

Incantesimi (post vecchio che ci sta come fosse nuovo)

Il sonno della ragione, non sarà per caso un incantesimo?

"Sarà un incantesimo", mi dicevo ieri.

Come nella fiaba di Rosaspina, che tocca il fuso e zacchete!, cade addormentata per 100 anni.

E con lei, tutti.

Cadono addormentati Re e Regina, dormono paggi e servitori, dormono gli stallieri e pure i cavalli e si addormenta anche il cuoco, proprio mentre sta per mollare uno schiaffo allo sguattero perché non sa spennare per bene una gallina.

Un incantesimo, dev'essere questo.

100 anni sono 3 generazioni, a far due conti.

Metto in conto mio nonno bersagliere, mio papà marinaio e mio fratello che niente, nessuna arma: 2 anni a Peschiera, perché di toccare un fucile non se ne parla e tantomeno di giurare fedeltà a una bandiera che sventola.

Tre generazioni a sognare un risveglio e invece il sonno continua.
Anzi: più passa il tempo, e più il sonno somiglia ormai a uno stato di coma agonico.

Ma forse tornano i conti se conto 150 anni.
E' da lì che dev'essere partito l'incantesimo.

Tornati indietro, come 150 anni fa, a prenderle se protesti per difendere la tua terra e ad abbassare la testa per le due palanche e un calcio al culo con cui il padrone ti sfama perché si sa, noi si è peggio dei somari e solo un padrone sa cosa va fatto: lui ordina, noi eseguiamo.

Intanto ci crescono intorno i rovi, sempre più alti e fitti.
Un muro impenetrabile.

E mentre mi faccio questi conti e ragionamenti, mi torna in mente che da un incantesimo ci si può svegliare solo se un principe, uno che nemmeno sa chi sia Rosaspina, entra nell'incantesimo per romperlo.

Il principe capace di rompere incantesimi nelle fiabe è sempre uno nuovo, qualcuno che non sa niente delle vecchie storie e proprio per questo agisce, fa ciò che nessuno per 100 anni ha osato, e rompe l'incantesimo.

Il principe è uno curioso, uno che ha sentito dire che Rosaspina è bella.
Molto bella.
Una cosa che più bella non si è mai vista.
Né prima né dopo.

Così lui la vuole vedere, per questo sfida il muro di rovi impenetrabile che avvolge il castello in un sonno che dura da cento anni.

E il muro di rovi si apre, lo lascia passare.

Lui entra nel castello di viventi addormentati, pieno di sguatteri che dormono con le galline da spennare ferme a mezz'aria, di paggi e servitori sprofondati fra seggiole e divani con piatti in mano e tovaglioli al braccio, di immobili stallieri e di cavalli che ronfano tranquilli da più di cento anni.

Sale sulla torre, corre su per la scala a chiocciola e apre la porticina della soffitta, quella dove dorme anche la vecchietta che filava.

Ed è lì che la vede, Rosaspina, la cosa più bella che si sia mai vista.
La bacia, com'è naturale.
Perché non c'è niente da fare: se vedi all'improvviso una cosa bella, bella al punto da commuoverti, hai voglia di baciarla.
Vuoi subito che ti entri dagli occhi e ti resti impressa nella mente e nel cuore.

Bacio magico, bacio che riporta in vita la dormiente.

Rosaspina si sveglia, e con lei si svegliano tutti: Re e Regina, paggi e servitori, stallieri e cavalli, sguatteri e cuochi.

Anche le galline?
Sì, anche le galline, che comunque finiranno in pentola.

Gran festa finale al castello, esattamente come era gran festa il giorno dell'incantesimo.

Festa per la nuova nascita, festa per la rinascita.

Ora, facendo due conti, anche i 150 anni sono passati.

E' importante, non vi sembri un discorso strampalato e inutile.

Perché, vedete, non esiste incantesimo che finisca prima che si sia compiuta una metamorfosi completa.

La Rosaspina che si sveglia dopo aver dormito cento anni, non è la Rosaspina che si era addormentata.

Avvengono dei cambiamenti, mentre si dorme sotto incantesimo.

Quella che si era addormentata non sapeva niente dell'importanza del filare e dei fusi che pungono e addormentano.

Quella che si sveglia, invece, sa che una volta che ti sei punta, la filatura ti si incarna dentro e non puoi più che dormire, per la noia.

E' questo filare anche mentre dormi, che porta avanti il tempo fino a farlo arrivare al tempo di là da venire, quello in cui è tempo per il principe di sfidare il muro di rovi per la sola curiosità di vedere com'è bella, una cosa bella.

Quest'ultima idea mi acquieta, mi pacifica.
Mi fa pensare che le metamorfosi richiedono dei tempi sospesi ma che poi, quando la vita si risveglia, niente è più come prima.

Perché dopo, quando di nuovo la vita riprende a vivere, se il tempo dell'incantesimo sarà stato quello giusto per produrre la metamorfosi, quel sonno non risulterà un tempo perso.

Perché tutti allora si sveglieranno, tutti parteciperenno a qualcosa che ancora non si sa perché ora non c'è ancora.

Con gli incantesimi, bisogna aver pazienza e fiducia.

E la fiaba di Rosaspina mi rassicura in questo senso, mi ridà fiducia.

So che non basta che a svegliarsi siano qui un suonatore di liuto o là un isolato cavaliere senza macchia e senza paura.

Il risveglio, per farsi festa di rinascita, deve svegliare insieme tutto il castello.

Le metamorfosi sono necessarie per chiudere davvero una vecchia storia.
E queste avvengono sempre attraverso un incantesimo che per molto tempo addormenta tutto e tutti, perché solo così la nuova storia inizia essendo nuova e non riparte uguale dal punto in cui tutti nel castello si sono addormentati.

(Pubblicato la prima volta su questo blog il 4 settembre 2012)

lunedì 8 aprile 2019

Viaggio ai Tropici, senza fare un passo

"...succedeva in un batter d'occhio, che è il solo modo di succedere delle cose importanti. Dalla sera alla mattina tutti i valori preconcetti di Grover furono buttati a mare. All'improvviso, così, egli cessò di muoversi come si muovono gli altri. Serrò i freni, tenendo acceso il motore. Se una volta, come gli altri, aveva creduto che occorre andare da qualche parte, adesso sapeva che qualche parte è dovunque e perciò anche qui, e allora perché muoversi? Perché non parcheggiare la macchina e tenere acceso il motore? Intanto la terra gira e Grover sapeva che gira e sapeva anche di girare con lei. La terra va da qualche parte? Senza dubbio Grover si deve essere fatto questa domanda e senza dubbio si deve essere convinto che la terra non va da qualche parte. Chi dunque ha detto che noi dobbiamo andare da qualche parte? Grover chiedeva a questo o a quello dove eran diretti e la cosa strana è che, pur essendo tutti diretti alla propria individuale destinazione nessuno si era mai fermato a riflettere che la sola inevitabile destinazione per tutti eguale è la tomba. Di ciò era perplesso Grover perché nessuno poteva convincerlo che la morte non è una certezza, mentre chiunque può convincere tutti gli altri che ogni altra destinazione è un'incertezza. Convinto della certezza assoluta della morte Grover all'improvviso si fece vivo in modo terribile e traboccante. Per la prima volta in vita sua cominciò a vivere..."
Da Tropico del Capricorno, di H. Miller

Perché mi sono presa la briga di riportare questo stralcio del libro?
Perché mi chiamo Grover, Ross Grover.
O meglio, perché sto rileggendo a distanza di anni questo libro e mi accorgo che, esattamente come la prima volta che lo lessi, mi trovo nella stessa fase di Grover: ferma, disinteressata a qualunque movimento verso qualunque destinazione, e torno a scoprirmi terribilmente viva proprio ferma qui, con il freno a mano tirato e il motore acceso.
Non desidero andare da nessuna parte, la terra continua a girare e io
"Non ho soldi, né risorse, né speranze." (da Tropico del Cancro, sempre H. Miller)
E mi sento la donna più felice del mondo. (semi cit.)

Fra le pagine di Tropico del Capricorno ho trovato un grappolo di fiori di gelsomino secchi.
Mi ricordano esattamente dov'ero l'ultima volta che leggevo questo libro: su una chaise longue, sotto a un gazebo estivo pervaso dal profumo dei gelsomini in fiore. Al di là dell'ombra, il sole cuoceva l'erba del prato, era un giugno caldissimo e la voce della Callas insisteva da giorni con la Casta Diva. 
Il tempo si era fermato, tutto si era come sospeso, tanto valeva starmene ferma a leggere, la terra continuava a girare



In Tropico del Cancro ho ritrovato invece uno scontrino di pedaggio della tangenziale di Napoli, leggo a fatica l'ora, forse 12.15, e il costo del pedaggio è sbiadito, forse c'é un 7, ma cosa prima o cosa dopo rimane sfocato dal tempo.
Però ricordo una salita al Vesuvio in auto: un amico di Napoli volle portarmici per farmi almeno intuire cos'era per lui fare escursioni fra le boscaglie lungo la strada che porta sù, vicino alla caldera. 
Ricordo che mi sentivo particolarmente attratta dal pensiero di precipitarmi giù, dentro al buco, mi continuavo a chiedere chissà cosa c'é lì dentro, lì in fondo, lì sotto, ed era uno di quei pensieri che danno le vertigini solo a pensarli...


giovedì 27 dicembre 2018

Le Feste

Quest'anno, chissà perché (forse il bastian contrario in me è all'opera?), improvvisamente ho realizzato che nessuna festa è bella quanto il Natale. 
Con tutto quel che c'é dentro e intorno: i pranzi, le cene, i regali, le lucine sui poggioli, gli alberi di Natale nei giardini che passano tutta la notte mandando bagliori intermittenti. Perfino gli eventuali canonici scazzi con i parenti, hanno un loro perché. 
Tutto ci sta, tutto ha qualcosa di magico. 
E non m'importa delle perenni lagne sul consumismo (fosse solo a Natale, magari saremmo tutti un po' più equilibrati), mi stufano quelli che il Natale proprio no, non lo sopportano, e ti insinuano dentro il sospetto che essere contenti di questa voglia di stare insieme a Natale sia sbagliato.
Ci sono cascata per qualche anno, poi intorno al 18/20 dicembre un'amica mi ha chiamato ricordandomi le "tue favolose cene di Natale", quelle che m'ero inventata per festeggiarci fra singles, quelle che si cominciava a far bagordi alle 8 della vigilia e si arrivava verso le 8 del mattino dopo sfatti, esausti, ma con la bella sensazione che sì, era stato bello aspettare mezzanotte per scartare i regali insieme facendo scrocciare carte d'oro o d'argento e strappando nastri e fiocchi con l'impazienza degli infanti cresciuti.
Quindi, basta: per quest'anno mi sono comprata le lucine per addobbare il terrazzo, il che è per me una novità assoluta. E divertente. 
E al prossimo Natale fanculo la miseria e i tristoni che il Natale gli mette il malumore: stiano pure da soli a sfuggire la bellezza del farsi i regalini più scemi, dell'agitarsi per tempo a preparare una sontuosa cena per poi cominciare a sparare cazzate fino a quel punto della notte in cui si passa a rivedere lo stato dell'universo per rimetterlo a posto, almeno per una sera, ché il Natale bisogna pur farlo nascere ogni volta in noi, almeno avere in noi il pensiero di un possibile mondo migliore.
Buon Natale è passato, ma c'é ancora da inventarsi una festone di Capodanno, e bisognerà impegnarsi a fondo.
Divertirsi, stare bene, vivere con leggerezza almeno questi pochi giorni all'anno, non nuocerà a nessuno e aiuterà tutti a ricaricarsi per affrontare il 2019 emotivamente più solidi e mentalmente più rilassati.

domenica 9 dicembre 2018

Cretini 2 (i cretini non finiscono mai)

La tragedia di Corinaldo, con i ragazzini morti da una parte e lo sproporzionato numero di biglietti venduti rispetto alla capienza del locale dall'altra, mi ha fatto tornare in mente un simile rischio vissuto da co-protagonista.
Era il 1° giugno della torrida estate del 2003, e quel giorno si apriva al pubblico per la stagione estiva la piscina, e l'annesso parco, dove all'epoca lavoravo.
Responsabile di segreteria, che si stesse mettendo male l'avevo intuito fin dall'apertura del cancello d'ingresso: alle 9.40 (l'impianto apriva alle 10) trovai già ad attendermi una dozzina di persone piuttosto scalmanate (per via del caldo e un'errata idea degli orari di apertura, concedo...).
Aperta la segreteria, la coda non si è mai fermata.
Alle 13.30, quando di solito c'era un calo di ingressi per via della mezza giornata utile che si pagava comunque a prezzo pieno, avevo già esaurito tutti i biglietti disponibili e stavo andando in panne per via del fatto che niente, nemmeno una pipì...
Dalla piscina mi chiamano per segnalarmi che c'era troppa gente rispetto al previsto unico bagnino (la stagione precedente non si erano mai superate le 500/600 presenze max), così iniziai a telefonare a tutta la lista di bagnini per cercarne almeno un secondo: a fatica, essendo tutti fuori servizio, riuscii a reperirne uno e a farlo arrivare dopo suppliche e perghiere che neanche a Lourdes (i bagnini fuori servizio hanno anche una vita, non è che stanno a casa ad aspettare che li chiami in emergenza).
Alle 14 era previsto un cambio turno, ma data la situazione chiamai intorno all'una la collega che doveva prendere servizio per supplicarla di arrivare il prima possibile: stavo davvero rischiando di farmela addosso, non potendo mollare la segreteria con la coda di gente irritata e nervosa (sempre per via del caldo, vado a concedere: se state a uno sportello rassegnatevi, non siete più umani di un robot per nessuno...).
Biglietti: non potevo inventarmeli, e però mandare via gente mi era impossibile: mi stavano già minacciando per l'attesa in coda, come se la coda gliel'avessi procurata io giusto per far loro dispetto, e al tentativo di negare un ingresso ho rischiato un linciaggio.
Chiamai l'amministratore per chiedergli che diavolo avrei dovuto fare. Ideona del genio: "Manda x (la sostituta che stava arrivando) a farsi prestare un blocchetto di biglietti alla piscina di...(altra gestita dalla stessa società).
Verso le 15.30, ormai in 2 allo sportello, finalmente la coda iniziò a scemare e dovevo fare almeno una prima chiusura di cassa prima di lasciare alla collega il proseguire fino a chiusura serale.
Capienza piscina: 800 persone.
Biglietti venduti: 1300 c.a.
Due bagnini, uno dei quali arrivato in soccorso dopo 3h di apertura e mille persone dentro all'impianto: se non è successo niente è forse solo perché quel giorno ho chiamato a soccorso molti potentissimi santi locali.
Il guaio è questo, sperimentato in quell'impianto molte volte: non c'é modo di far ragionare sulla sicurezza la gente: se gli dici che l'impianto non può ricevere più di un tot di persone, la mettono sul personale, e ti azzannano.
Dici loro che in vasca non puoi far nuotare più di 10 persone per corsia (ideale è 8), e ti azzannano.
Dici che in vasca si entra con cuffia e ciabatte dopo essere passati sotto la doccia e appena non li guardi se ne fregano.
Dici loro che nel prato della piscina non si possono portare i cani, che tanto meno i cani possono entrare in vasca, e niente, il loro cane è buono e io cattivissima (un giorno ho dovuto chiamare i carabinieri perché una si era portata il cane nascosto dentro la borsa e avevo la fila di bagnanti che se ne venivano a lamentare per via dell'igiene: meglio non v i dica le scene successe quel giorno alla presenza dei carabinieri, roba da film comico: i cani si sa, sono più che umani...e fanno una pipì più santa di quella dei neonati...)
Se parli loro di igiene sono sempre tutti d'accordo, ma solo se si parla dell'igiene altrui: loro sono pulitissimi (non vi racconto cosa trovavano le inservienti che pulivano gli spogliati per non farvi tornare su il pranzo domenicale), si sono fatti la doccia anche ieri, la cuffia gli rovina i capelli e tanto loro mica mettono la testa sott'acqua (ovviamente la loro pelle non si desquama mai, non perdono mai alcun capello, e comunque c'é il cloro, che igienizza tutto (se igienizzasse "tutto", uscireste squamati e con la pelle che cade a brandelli dopo 10' di immersione, sappiatelo...).
Il giorno dopo: alle 5 arriva all'impianto l'uomo della manutenzione quotidiana (abitualmente controlla i filtri, controlla l'emissione della percentuale di cloro in acqua, pulisce il fondo e igienizza i bordi, normale manutenzione insomma): nella vasca il fondo del giorno prima ha un centimetro di fango, letteralmente. Galleggiano inoltre rami, foglie, erba. Sui filtri, che non filtrano più nulla, chili di capelli, un paio di slip. parecchi kleenex.
Il prato pare reduce da una riedizione di Woodstock: carte, bicchieri, lattine, ciabatte singole, fazzoletti, giornali abbandonati, ecc. 

Può stupirmi che la discoteca di Corinaldo abbia venduto più biglietti (e fatto entrare più ragazzini) di quanti fosse autorizzata a contenerne?
Per niente.
Ciò che invece mi stupisce è che ci siano genitori che consentono a ragazzini di 14/15/16 anni di andare in discoteca per un concerto (demenza del concerto a parte) che all'una di notte non è ancora iniziato.
Ma dove hanno la testa? Che senso di responsabilità hanno nei confronti dei figli? Qualcuno glielo spiega che non è questione di fiducia nei figli, ma di condizioni per cui quella fiducia risulta di default malriposta.
I gestori della discoteca vanno puniti, ovvio, e però è inutile fare quel che sempre si fa in questi casi: chiudere il locale per qualche mese per poi riaprirlo imponendo sulla carta numeri di capienza più contenuti (pare che al locale in questione fosse peraltro già successo).
Il punto è che ci sono business dove non c'é fattura elettronica che tenga, dove fare incassi è più importante che garantire la sicurezza e controllare che i numeri dei biglietti venduti corrisponda al massimo al numero di capienza è una pura illusione: o gli metti i tornelli numerati con blocco automatico al raggiungimento dei limiti previsti o niente, i numeri sono moneta sonante in più che arriva come una manna alla quale è difficile resistere.
Ed è inutile anche fare i moralisti della domenica: provate voi a bloccare gli ingressi quando davanti avete un'orda di gente che di sicurezza e regole non ne vuol sapere: o li menate di brutto (e siete un dittatore fascista) o vi lasciate tentare dall'ingresso in più che vi elimina la coda scalpitante e aumenta il volume di contante della serata (diventando sul momento dei buoni, ma alla fine essendo sempre dei coglioni).

Per me, ve lo dico: dove entra la folla io non entro più da tempo.
La folla è demente a prescindere, sempre: il cretino che fa la cazzata va messo in conto, e se si è mentalmente onesti se ne mette in conto più d'uno, così ecco che avete la risposta al cosa fare: state lontani dagli assembramenti e diffidate di chiunque vi faccia entrare in un locale dove non si potrebbe "solo" per farvi un favore.
L'esperienza di 4 anni a uno sportello, tutto sommato e solo in apparenza meno pericoloso di quello di una discoteca, mi ha insegnato che nessuno è più cretino e potenzialmente pericoloso di quello che ti chiede di fargli un favore facendolo entrare, contravvenendo con questo alle regole di sicurezza o di igiene: se ne incrociate uno che vi fa (o vi chiede) un simile "favore", tirategli subito un cazzotto, vi farete meno male che a cedere. 
Ne ho rischiati parecchi, di cazzotti, per aver imposto, nei limiti delle mie competenze, il rispetto delle regole per igiene e sicurezza.
Non è stato mai facile, subire le incazzature deliranti di gente normalissima e perbene che davanti a un no si rivela una belva disposta a sbranarti per aver osato, proprio a lei, "io che sono un/una cliente!", dire no, non posso, mi lasci il numero di telefono e se si libera un posto la chiamo.
Niente, l'italietta del lei non sa chi sono io e del la prego mi faccia un favore è forse la bestia più infida dalla quale non riusciamo davvero a liberarci.
Le conseguenze sono quelle note: i morti di Corinaldo di questi giorni, ma ci metto sul conto anche quelli per la valanga di Rigopiano, quelli del Ponte Morandi e tutti quelli che vi vengono in mente ripensandoci un po': morti la cui ragione si trova sempre dalle parti del favore, del pressapochismo, del tanto non cadrà, del mica nevicherà così tanto da...

venerdì 21 settembre 2018

Povere destre, con questi sinistri...

M'intriga la notizia della richiesta da parte del Tribunale de Grande Instance de Nanterre (Francia) di sottoporre il leader del Front National, Marine Le Pen, a una perizia psichiatrica.

La ragione di tale richiesta è che Marine Le Pen ha pubblicato su Twitter, il 16 dicembre del 2015, le terribili immagini delle esecuzioni da parte dell'Isis (Stato Islamico) di 3 prigionieri, James Foley (ostaggio americano, decapitato), Moaz Al-Kazabeh (pilota giordano, bruciato vivo dentro una gabbia) e Fadi Ammar Zidan (soldato siriano, schiacciato vivo sotto le ruote dentate di un carro armato), foto che il Tribunale ha ritenuto essere così violente da essere la loro sola visione dannosa per la dignità umana.

Chiarisco subito che la penso come il Tribunale di Nanterre, sulla visione di immagini violente: vedere immagini di violenza ritengo sia davvero dannoso, se non per la dignità umana (la dignità umana è offesa con il solo fatto che tali orrori siano ancora commessi e oggi pure allegramente divulgati), certo sono dannosi per la salute mentale (vedere l'orrore ci abitua e ci educa all'accettazione dell'orrore: non ritengo affatto che, come qualcuno sostiene, assistere all'orrore ci immunizzi da questo).
Trattandosi però, nel caso delle immagini postate da Marine Le Pen, di immagini che all'epoca giravano (con mio ribrezzo) sul web, non riuscivo a comprendere bene la ragione per cui il Tribunale francese chiede solo per lei una perizia psichiatrica: immagino che le abbia trovate sul web, dove come dicevo giravano in quei giorni a ciclo continuo, e immagino che molti altri francesi le abbiano viste ben prima che le postasse la leader del FN.
Però, giustamente, lei è una leader politica, gli scatta il maggior obbligo di vigilanza sulla propria comunicazione. Forse dovrebbe bastare. Forse.

Scopro invece, leggendo copia dell'atto del Tribunale di Nanterre (anche questo gira tranquillamente su Twitter e immagino su altri social), che in Francia pubblicare immagini violente che possono turbare la dignità umana è vietato dal Codice Penale (articoli 227-24, 227-29 et 227-31 del CP).

Cerco di ricostruire la storia.
Quel giorno Marine Le Pen aveva pubblicato le immagini in risposta a quanto sostenuto in un'intervista di Jean-Jacques Bourdin su RMC allo "scienziato" politico Gilles Kepel, nel corso della quale si comparava la pericolosità dell'ascesa del Fronte Nazionale in Francia a quella dell'ascesa dello Stato Islamico - Daesh.

Marine Le Pen aveva già ribattuto alla scorretta comparazione che «Le parallèle fait ce matin par Jean-Jacques Bourdin entre Daech et le FN est un dérapage inacceptable. Il doit retirer ses propos immondes.» (Il parallelo fatto questa mattina da Jean-Jacques Bourdin tra Daech e FN è uno slittamento inaccettabile. Deve ritirare le sue parolacce).
E poco dopo postava le immagini di cui sopra con il commento «C’est ça Daech».

Uno scivolone anche il suo, però umanamente comprensibile e forse perfino giustificabile, se inserito nel contesto della provocazione subita pubblicamente poche ore prima.
Scivolone cui aveva rimediato rimuovendo dopo poco sia il tweet che le immagini, ma che non le ha risparmiato le dure conseguenze politiche e personali che da lì sono partite:

- l'apertura di una procedura d'inchiesta aperta nel 2016 dal Tribunale di Nanterre per la divulgazione delle immagini (pur se prontamente rimosse)

- la presentazione alla Commissione per gli Affari Giuridici del Parlamento Europeo, il 5 ottobre del 2016, da parte del Ministro della Giustizia francese, di togliere per lo stesso fatto l'immunità al parlamentare europeo Marine Le Pen (richiesta accolta nel febbraio 2017)

- la richiesta di pochi giorni fa, sempre del Tribunale di Nanterre, di sottoporla alla perizia psichiatrica per determinare sia sana di mente per aver postato quelle immagini (immagini pubbliche, viste da milioni di altre persone e postate da qualche altro migliaio di persone)

L'abbiamo capito? Solo i "democratici" pro UE sono veri democratici, e quindi unici giudici della vera democraticità e per questo unici autorizzati a fare le affermazioni più scorrette contro chi manifesta idee diverse dalle proprie. 
Marine Le Pen che pubblica immagini (reali, presenti massicciamente in rete) è sospetta di turbe psichiatriche; chi invece ha paragonato il suo partito ai barbari esecutori di morte dell'Isis, non viene nemmeno sfiorato (a quel che ne so) da una denuncia per diffamazione né si sogna di scusarsi per l'indegnità dell'affermazione fatta.

Chi si oppone all'UE è di default un anti-democratico, e di più: è un fascista, razzista, nazista, populista, ecc; 
Il fatto di essere contro l'UE è talmente incomprensibile ai pro-UE da rendere chiunque non la pensi come loro sospetto di turbe psichiatriche o almeno di fascismo, meglio se di nazismo, ancora meglio se di razzismo con un po' di populismo. 
E' la democrazia alla UE, bellezza!

Come non pensare poi alla denuncia del Procuratore di Agrigento Patronaggio a Salvini, il Matteo reo di aver tardato a far sbarcare dalla Diciotti dei poveri migranti affaticati provenienti da guerre e fame e pieni di scabbia (lo dice lo stesso Patronaggio dopo aver fatto visita ai migranti ancora "sequestrati" sulla Diciotti) i quali, pochi giorni dopo essere stati degnamente alloggiati e rifocillati dalla Caritas a Rocca di Papa (non si sa se già scabbiati o meno), si sono clandestinamente dileguati nella notte senza manco ringraziare.

In attesa delle prossime elezioni europee pare di capire che la "minaccia" dell'ascesa vertiginosa delle destre europee, mobiliti alcuni magistrati europei per tentare almeno di  mettere fuori combattimento i più importanti leader politici delle destre europee.


Salvini costretto a sborsare denaro per 80 anni per ripagare furti non è chiaro ancora commessi da chi; l'incauta Marine Le Pen costretta a una perizia psichiatrica per aver postato immagini che allegramente spopolavano sul web; Orban ci manca poco che si ritrovi i carri armati sovietici in piazza...

No, ok, scusate, quella è un'altra storia. Lì era il 1956 e l'Ungheria recalcitrava a entrare sotto la protezione dell'Unione Sovietica. Così è stato necessario aiutarla a decidere per il suo bene, con carri armati sì, ma demo...socialisti o comunisti...Di compagni, diciamo...

Però, però, però: non è strano che sempre più spesso venga spontaneo fare parallellismi più con l'ex Unione delle Repubbliche Sovietiche di stanliniana memoria che con quel fascismo mussoliniano che tanto piace citare ai sinistri nostrani i quali, senza aver ancora fatto i conti con il fascismo così da sfrondarlo dalla montagna di retorica sul fascismo, se lo attaccano al petto come medaglia per interposto nonno, zio, cuggino, magari fascista pure lui pur, come molti, contro la propria volontà?


Nel dubbio, per quanto riguarda l'Unione Europea in corso d'opera, consiglio la visione del video qui sotto:


 

venerdì 23 marzo 2018

Frullato misto

Radio Rai Tre, in mattinata:

1. si da avviso che fra fine marzo e inizio aprile in Italia potrebbero caderci in testa detriti spaziali.

2. si parla di sprechi di risorse (alimentari e materiali) con tanto di discorso bergogliano che invita a condividere con gli altri per limitare sprechi e così star bene tutti salvando pure il Pianeta

3. si da notizia e si commenta (con Lesperto in studio che a domanda se non vi siano altre soluzioni risponde con un T.I.N.A. standard) che l'ex Ministro Calenda provvederà a giorni alla pubblicazione dei siti idonei per lo stoccaggio di scorie nucleari

4. a chiusura del programma si informa e si invita tutti a una giornata di informazione e screening gratuiti (non ricordo dove) per la lotta contro il cancro

Trovo che vi sia una certa qual coerenza tematica fra la caduta di detriti spaziali, la moralizzazione papale sugli sprechi alimentari (date ai poveri i vostri avanzi, così vi diminuiscono anche i costi della differenziata mentre vi santificate usando i poveri come bocche da compostaggio domestico), lo stoccaggio di scorie nucleari (che una volta fatto, il sito "nazionale", poi ci si possono infilare anche le scorie francesi, così da ottimizzare i costi di gestione del sito garantito ben 500 anni da chi a malapena ne camperà un'ottantina e i cocci saranno tutti per i vostri figli e nipoti) e gli screening per la prevenzione del cancro (casomai ti mettessero il sito con le scorie nucleari sotto casa, almeno hai un punto di inizio del cancro che sicuramente ti verrà, e se non a te, ai tuoi figli, nipoti, ecc).
Una catena di Sant'Antonio dell'odierna demenza umana.

A volte penso di vivere in un mondo di gente con i neuroni ormai frullati che fatica a mettere in fila i puntini fra ciò che gli si impone oggi per decreto con le conseguenze che questo gli porterà domani.
Tanto, che gl'importa? Chi ce l'ha più un domani?
E comunque, se lo dice Lascienza, chi sono io per dubitare?

Poi mi capita di leggere ciò che dice questo qui sotto, e mi viene il sospetto che ci manchi il semplice buon senso.
Ovviamente non so dove la Russia abbia i propri siti di stoccaggio per le scorie nucleari, e nemmeno so dove cadano i loro detriti spaziali ma so, dopo la schizofrenica mattinata di news e commenti di Radio Rai Tre, perché a volte vorrei chiedere asilo politico in Crimea (no, la Siberia in effetti non mi attira).

domenica 21 gennaio 2018

Facili profezie

In tempi non sospetti, quando ancora nessuno aveva (forse) nemmeno il sospetto delle crisi in arrivo sulle banche venete - cioè su Veneto Banca e Banca Poplare di Vicenza - mi aveva colpito una sparata di Zonin il quale, con la spudoratezza di chi dal pane degli altri è abituato a trarre profitto, suggeriva quale soluzione al problema "crescita e disoccupazione" che se i suoi dipendenti avessero lavorato 1 ora gratis al giorno per un anno le cose sarebbero andate meglio.

Scrivevo allora quanto fosse ai miei occhi immorale chiedere agli operai di cedere 1 ora di lavoro gratis per risollevare le sue aziende perché, in caso di crescita effettiva del capitale dell'azienda, i suoi operai non avrebbero comunque visto un centesimo di utili per il valore ore/lavoro investite.
Se invece gli affari fossero andati comunque male, agli operai sarebbe arrivato comunque, come sempre, il calcio in culo, mentre l'imprenditore, che solo sa davvero come vanno i suoi affari, quando vede avvicinarsi un possibile fallimento, ha la possibilità di mettere in salvo i propri beni così da sottrarli a eventuali pignoramenti per pagare il dovuto agli operai.

Ora, non pare che le aziende di Zonin navighino in cattive acque, ma in acque fetide navigano invece quei correntisti (magari alcuni anche suoi dipendenti) che gli avevano affidato anni di risparmi volatilizzati dalla Banca Popolare di Vicenza della quale Zonin è stato a lungo Presidente.

In questi giorni la Guardia di Finanza, in apertura delle prime fasi processuali a seguito dei fallimenti delle due banche, ha messo sotto sequestro gli ultimi beni che Zonin non aveva già provveduto a mettere in salvo, per garantirsi lo Stato il saldo dei costi processuali. Come riporta Il Fatto Quotidiano:
“La grande parte del patrimonio dell’imputato è stato ceduto ai familiari nell’arco di un biennio, e tale attività dismissiva (…) concretizza il pericolo che, in caso di futura condanna, l’imputato non disponga delle garanzie sufficienti a coprire il credito vantato dall’erario per le spese di procedimento”. Zonin ha scelto la strada della donazione del patrimonio immobiliare (in due occasioni nel 2016) a favore di un figlio e della moglie. I finanzieri hanno scoperto la cessione alla consorte del 2 per cento di Tenuta Rocca di Montemassi Srl (il restante 98% è già della signora), e ai figli del 5,38 per cento di Casa Vinicola Zonin spa, nonché e delle partecipazioni in due società del gruppo, la Zonin Giovanni sas e la Gianni Zonin Vineyards. Non si tratta di bruscolini, ma di partecipazioni dal valore che si aggira sui 10 milioni di euro. Cosa rimane nella disponibilità dell’ex presidente dell’istituto vicentino? Un terreno a Gambellara, azioni della Popolare con cui al massimo può comperarsi una pizza e qualche quota di società minori.
Da ruspante abituata a fare i conti della serva, mi chiedo perché mai la Guardia di Finanza sia stata messa al lavoro solo ora, quando si tratta di garantire allo Stato le eventuali spese processuali e non prima, quando a chiedere allo Stato di bloccare i beni di Zonin lo chiedevano i correntisti rovinati durante la sua presidenza di BpVi.
Proprio sapendo quanto sia facile disfarsi dei propri capitali, mettendoli com'è noto in salvo fra amici, familiari e parenti, lo Stato (ammesso che ne abbiamo ancora uno) avrebbe dovuto immediatamente, con la notizia del fallimento delle banche, bloccare i beni di chi aveva una responsabilità di gestione.

O meglio, forse lo so perché: è che con i risparmi degli operai, e della gente comune in genere, lo Stato è il primo garante delle entrate delle banche, che vanno sempre tutelate e salvate, tanto più se sono "allegre" con i soldi dei loro correntisti, che invece vanno depredati e bastonati economicamente in ogni modo possibile.
Pesando diversamente i soldi dei contribuenti/correntisti e quelli delle banche, lo Stato si premura ora di recuperare per sé le spese e lo fa ora che è ben certo che, come si dice, i buoi sono già scappati dalla stalla, così che si avveri l'altro detto veneto, cioè "càn no magna càn".

Certo fa tenerezza sentire Zonin dire "anch'io ho perso soldi".
Vengono i lucciconi a immaginarsi quale miserabile esistenza gli toccherà ora per i due spicci persi mentre nulla ha da dire su quelli spariti dai conti di chi glieli aveva affidati pensando di potersi fidare di lui.

In ogni caso, nel Zonin che chiedeva nel 2012 un'ora di lavoro gratis ai propri operai per "crescita e disoccupazione", vedo una perversa continuità con quello che oggi sui gradini del Tribunale piange il morto dopo aver beatamente fregato i (circa) 5 mila vivi.
Perché, quelli che si sono visti sparire i risparmi di una vita durante la sua presidenza della Banca Popolare di Vicenza (ma lui "non ricorda") e stanno provando a costituirsi parte civile nel processo, sono davvero tanti.
Ma nessuno ha chiesto prima, per loro e da subito, quel blocco dei beni quando ancora si poteva e si sarebbe dovuto fare.

Ultima amara considerazione.
Ogni due per tre c'é qualche burlone che ci magnifica la grandezza della giustizia americana (e del giornalismo americano), tranne che poi, sul suolo italico, non c'è nessuno che ricordi ai nostri politici, ai nostri giornalisti e alla nostra giustizia che lì i truffatori vanno davvero in galera e che non si aspetta che prima di andarci provvedano a mettere in salvo i proventi delle loro pessime gestioni finanziarie.
E chissà poi se il giornalismo italiano, quello che sbava sulla libertà di stampa quando escono film tipo Spotlight, o il più recente The Post, sarà bravo quanto quello americano d'antan (oggi se c'é un paese dove il giornalismo viene zittito dal potere è l'America, ma è un male piuttosto diffuso nell'attuale globo terracqueo) e saprà denunciare l'intollerabile ingiustizia italiana che consente ai truffatori il tempo necessario a imboscare i capitali prima di provvedere a bloccare solo quei pochi spicci rimasti per farsi lo Stato ripagare le spese processuali in un processo che pronostico già da operetta.

martedì 19 dicembre 2017

Al (sul) tappeto

Poco meno di un mese fa, dopo una lunga giornata disseminata da chiare premonizioni, verso le 8 di sera sono collassata.
Sentendomi venir meno, nel lasciarmi cadere sono perfino riuscita a guidarmi lentamente sul tappeto evitando gli spigoli del tavolo.
Dopo, cioè adesso, nulla è come prima.
Ma lì, in quei pochi attimi, in quei pochi secondi, ho provato una sensazione di abbandono del corpo e della mente che potrei perfino definire un satori, una sorta di improvvisa illuminazione: tutto in me era finalmente in pace.
Nessuna paura, niente di niente, solo un dolce lasciarmi andare al tappeto senza peso, come una piuma che scivola dopo una lieve danza nell'aria.

Mi chiedevo da giorni se scriverlo oppure no, sono cose così intime da aver difficoltà io stessa a comprenderle per me.

Forse perché dopo, quando ho riaperto gli occhi sentendo suonarmi in testa una sorta di campanelli tipo quelli che nei film suonano quando al robot si staccano tutti i sensori, è iniziata la paura.
La paura, in alcuni momenti, non è solo per la nuova consapevolezza che questo mi può succedere, ma anche per la sensazione di leggerezza e pace provata in quei pochi secondi.

Come quando una volta, salita su una seggiovia in montagna, ho vissuto il tragitto verso la cima, sospesa nel vuoto e attratta dalla bellezza del mondo di sotto.

Come le vertigini mi fanno paura per l'attrazione che provo verso il vuoto, il ricordo di quel momento di pace mai provato prima è scolpito in me come l'iscrizione su una porta verso un mondo sconosciuto che continua a dirmi:
"Non c'é nulla di cui aver paura nel lasciarsi andare oltre quella porta. La paura sta tutta al di qua..."
Non avrei dovuto scriverlo, lo so.
Però se ti capita di sperimentare una sensazione così bella e misteriosa, come si fa a tenersela per sé?

Sono scivolata sul tappeto e sto lentamente rialzandomi, vado lenta e però piena di stupore e con una nuova amletica domanda: perché riaperti gli occhi mi suonavano i campanelli nelle orecchie come fossi un robot cui avevano staccato i fili?

Non cerco risposte che in me, è questo che mi distrae da ogni Etruria, da ogni piddino e da ogni altra cosa del folle mondo in cui viviamo.

Poi ve lo dico, non farà molta differenza il trovare o meno le risposte.
So che esiste in me memoria di una pace senza più domande.
Credo per un po' mi basterà.

giovedì 16 novembre 2017

News da una binge reader

Qualche giorno fa Marilù scriveva (circa) in un commento in coda all'ultimo post:"...Sono preoccupata, va tutto bene? E' da un mese che non posti più nulla...".
 

Una specie di sveglia ha iniziato a trillarmi nelle orecchie mentre, fino a lì, nonostante già qualcun altro mi avesse fatto più volte la stessa domanda, non avevo ancora davvero realizzato che, niente, da pubblicare sul blog non mi veniva che qualche vaga idea destinata a rimanere allo stato di bozza.

Così ho iniziato a chiedermi che diavolo mi stia succedendo, perché negli ultimi tempi sbirci la rete in modo molto distratto e peschi le poche notizie da Twitter, così da farne una rapida indigestione e passare subito ad altro.

Cosa?

Ora, non so che tipo di lettori siano i pochi followers che arrivano a leggere questo blog, ma una cosa di me come lettrice l'ho capita: temo di essere più una binge reader, cioè una lettrice affamata (be angry, be foolish?), che una produttrice di post convinta.

In quest'ultimo mese, ad esempio, sono stata così immersa nella lettura da nemmeno rendermi conto se fuori fosse ancora giorno o già notte. 

Negli ultimi 10 giorni poi, uno via l'altro e senza pause, ho letto 5 libri e almeno 1.800 pagine, credo, levandomi dal divano solo per organizzarmi un caffè, un pasto iperveloce, stendere la biancheria dalla lavatrice, poco altro. 
Milleottocento pagine circa, alcune delle quali a caratteri microscopici come se ne trovano ormai solo nei vecchi libri che si trovano usati alle bancarelle.
Vero è che quando leggo non conosco parenti, come si dice: rispondo controvoglia a pochissime telefonate, evito di lasciarmi travolgere dalle poche notizie in rete e, se non per qualche compulsivo tweet che placa in poche battute la mia attività sui social, l'unica mia attività è quella del voltar pagina.

Non so se anche ad altri succeda, ma per me leggere è per lo più leggere compulsivamente, senza freni inibitori, senza troppe pause, senza distrazioni. A volte leggo per ore, mettendomi in pausa solo quando crollo dal sonno o quando, purtroppo, mi squilla una telefonata cui non posso evitare di rispondere.

Non sempre, ovvio, non con tutte le letture è così; spesso, anzi, fra un libro impegnativo e l'altro, mi rilasso con la lettura di qualche romanzo più leggero, ma sempre restando sul pezzo.
E negli ultimi 4/5 anni, il mio pezzo sono letture prodotte o ambientate fra fine '800 e inizio '900 del secolo scorso.
Se poi l'autore o il libro parlano dell'est europeo, dell'Asia Centrale o Centro Occidentale, sparisco da questo mondo per catapultarmi in quello a cavallo del secolo scorso immaginandomi per giorni di vivere in quell'area come se quella fosse l'unica casa che riconosco come mia casa ideale.

Il perché da qualche tempo mi sia presa questa patologia da Novecento credo di iniziare a capirlo solo ora: che si tratti di un libro di storia, di una autobiografia, di un saggio o di un romanzo, ogni autore che parla o è vissuto in quel periodo, aggiunge di volta in volta dettagli e tasselli che mi dicono meglio di ogni pezzo attuale cosa sta (forse) succedendo nella stessa area geografica oggi.
Mi pare cioè di poter comprendere il mio mondo solo immergendomi in quel mondo di ieri* che più lo frequento più mi si rivela decisivo (il libro di Zweig citato, Il mondo di ieri, è stata una delle letture più appassionanti in tal senso degli ultimi anni).

Ma non solo Zweig.
Decisivi sono stati sicuramente i libri di Hopkirk, e su tutti Il Grande Gioco, dal quale forse la patologia è per me iniziata; ma altrettanto appassionanti sono stati poi Andrić (Il Ponte sulla Drina, Cronaca di Travnik, ecc), Montenegro di Tomašević, Abbiamo quaranta fucili compagno colonnello di Sándor Kopácsi (sui giorni della rivolta d'Ungheria del '56) e l'immenso (in ogni senso), I Fantasmi di Mosca (Hotel Lux e La confessione di Sveto) di Enzo Bettiza.
Ecco, Bettiza è la mia scoperta novecentesca più recente (anche se l'autore è mancato solo pochi mesi fa, è per me un autore novecentesco a pieno titolo).
Fino all'inizio di quest'anno di lui non avevo mai letto assolutamente niente, poi è stata una Caporetto: da allora, sono a più o meno tutto Bettiza, e tutto a rotta di collo, finito un libro sotto l'altro, come se non ci fosse un domani o avessi quaranta fucili signor Colonnello puntati alla tempia per esaurirne la produzione letteraria e giornalistica in tempi record.
Come molti autori per me "di confine", cioè quegli autori che si son trovati a nascere in un mondo di ieri, quello dove ancora esisteva l'Impero austro-ungarico i quali, poi, nel giro di un batter di ciglia della storia, si son trovati ad essere stranieri nella patria di origine ed eterni esuli in quella di adozione e nel mondo in generale, Bettiza mi si è rivelato una fonte inesauribile di notizie, dettagli e piccole o grandi storie che vagano fra la sua natìa Dalmazia, allora asburgica, e quell'Europa del Primo Dopoguerra che mi pare essere stata crogiuolo e fucina di ogni vecchia e nuova ingiustizia sociale.
Ha poi una conoscenza pressoché enciclopedica sul mondo slavo, e sovietico in particolare, il che mi aiuta a unire i puntini, fin qui ancora un po' sparsi.

In più, ha quella elegante e bella scrittura che riscontro ormai solo negli autori nati o vissuti in quel periodo (o prima), forse perché allora la bella scrittura era importante quanto una buona educazione e il vestire appropriato, cose tutte che oggi non contano quasi più, e invece...Non sono anche queste cose che vanno scomparendo, un segno della civiltà che stiamo asfaltando?.
 

Scrivere, oggi, poi, a forza di scuole di scrittura e redazione di contenuti attrattivi per la lettura sul web, si sta riducendo sempre più a un'essenzialità che sfiora la sterlità. 
La necessità di produrre testi semplici e sintetici, che somigliano sempre più a spot promozionali lunghi, pare ridurre sempre più ciò che viene pubblicato (sul web ma anche su cartaceo), a una razionale esposizione occhieggiante alla psicologia della vendita (del pezzo), togliendo dai testi tutto ciò che nella lettura poi, invece, è ciò che appassiona.
O almeno, è ancora ciò che appassiona la binge reader che è in me: via le descrizioni dettagliate dei personaggi (ché finisci altrimenti per annoiare quanto un classico russo, che infatti io adoro), estremamente dosate le descrizioni degli ambienti (c'é qualcosa di più rilassante e piacevole delle minuziose descrizioni dei salotti proustiani o delle "confessioni" di Sveto in Bettiza?), parchi nel divagare sull'humus sociale in cui il racconto si va a sviluppare (impagabile, sempre in Bettiza nei Fantasmi di Mosca, la descrizione della Vienna e di Monaco negli anni prima della Seconda Guerra Mondiale), l'eccesso di concentrazione sull'obiettivo finale sgrassa via tutto il godibile della lettura.

Ecco, lo vedete? Più leggo e meno m'importa di essere sintetica, di non annoiare chi legge pur sapendo che sul web si hanno sempre tempi contigentati come dovessimo tutti, dopo ogni pezzo, prendere un treno, mentre veniamo invece solamente rimbalzati da una lettura all'altra come utili palline del flipper (altra cosa che non compare più nei libri odierni, il flipper, e che avrebbe invece ancora tutto un suo mondo da descrivere), facendo di noi alla fine solo dei consumatori di notizie e di pagine riproposte da mille altre pagine, ognuna delle quali cerca una propria visibilità e attrattività mentre, ogni giorno di più, tutto mi pare diventare fuffa che ripropone fuffa e della quale non mi resta che una vaga e informe sensazione di confuso nulla.

Con alcune eccellenti pagine, va detto, i cui autori sono delle vere e proprie perle in un mare di pèoci.

Poi c'é questa altra cosa: il web mi risulta sempre più uno spartiacque fra il mondo di ieri* e quello di (forse) domani.
Come se, penso a volte, dopo le Torri Gemelle del 2001, a portarmi oggi qui, avesse contribuito non poco proprio la progressiva invadenza della vita sempre più dematerializzata che, ormai alle battute finali, pare far assumere sempre più al web la funzione di una pompa aspirante il cui scopo è trasferirti armi e bagagli sul cloud, risputandoti lì quale rieducato e adattato ectoplasma perfetto per la vita nel futuro mondo di Papalla.
Da quegli anni a cavallo del secolo scorso che mi appassionano segregandomi sul divano per intere giornate, è come fossi arrivata qui, oggi, senza accorgermi che fra una guerra mondiale e l'altra, fra l'illusione di una libertà di costumi e d'espressione, fra una disintegrazione violenta dell'ex Jugoslavia e quella ancora in itinere nei paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo, non mi fossi mai resa davvero conto che a ogni torre, a ogni confine, a ogni barriera culturale e mentale che veniva abbattuta, io finivo sempre più imbrigliata dentro una rete collosa dove gioco il mio ruolo di bit utile al compimento di un cambiamento di stato nel quale non avrò più alcuna voce né alcuna importanza quale umano, solo come identità virtuale ectoplasmatica soggetta alla legge universale dettata dal Grande Fratello (FB+Big G + ecct?).

Ciò che mi sembrava all'inizio del 2000 una straordinaria apertura di nuove opportunità, un'aggiunta di libertà, una fantastica possibilità di interagire con chiunque nel mondo e un mezzo per poter gratificare la mia sete di letture e notizie si rivela oggi, sempre più, invece, a guardare le cose misurandole da quel lontano inizio secolo scorso, una vera e propria tela di ragno nella quale, una volta catturata come una delle tante mosche che vi sbattono volontariamente contro, non lascia più fuggire nessuno neanche disertandola.
Questo mondo virtuale che doveva aggiungere informazioni e scoperte, è ormai un obbligo sociale e civile, necessario com'é per occuparsi delle molte incombenze quotidiane e sociali, è diventata una grande trappola. 
E quel che doveva essere divertente è ormai una mera produzione di traffico dati che potenzialmente qualcuno un giorno userà, analizzerà, valuterà e spenderà senza riconoscermi nulla.

Era comunque per dire cosa sto combinando mentre sparisco dal blog: collego fili, connetto ragionamenti e tesso anch'io una mia tela di supposizioni sul mondo che verrà e, in alcuni momenti non belli, mi pare di vedere che però sono già, appunto, in un mondo parallelo virtuale operativo e in funzione, nonostante alcuni dettagli ancora in fase di rifinitura nei cantieri periferici dei server o nelle leggi ormai prodotte apposta per regolamentare la vita del web e quindi la mia.

Per ora, a volare via verso l'ultimo libro di Bettiza, Corone e Maschere. 

Poi vi saprò dire.
Forse.
Chissà.
Vedremo.

lunedì 2 ottobre 2017

Solo buone notizie

Sbirciata rapida agli esiti del referendum catalano (questioni indipendentiste a parte, gli esiti dimostrano che Rajoy è un pessimo stratega: lasciava fare, avrebbe avuto parecchio da contestare visti i numeri: 90% su meno della metà degli aventi diritto al voto, la legge catalana della maggioranza vince anche senza quorum gli spianava la strada in discesa davanti a qualunque successiva rivendicazione autonomista), mi sono imbattuta in due notizie belle, entrambe in quel di Venezia.

La prima: un condominio di Mestre festeggia i 50 anni dalla costruzione con una festicciola condominiale.
«Sarebbe bello se tutte le assemblee condominiali iniziassero così», ci confida l'amministratore. «In questo palazzo si respira un'atmosfera meravigliosa». Il segreto? La riservatezza. «Siamo tutti in buoni rapporti, ma ci teniamo alla nostra privacy: credo sia questa la ragione del successo del condominio», ci confida un residente.
A domanda, uno dei condomini:«Sono quasi tutte case di proprietà, spesso ereditate dai genitori: una continuità che aiuta a mantenere un'atmosfera tranquilla».
Continuità e tenerci alla propria privacy. 
Cosa che contribuisce a rispettare la privacy di tutti.
Non ci vuole poi molto, no?
In sintesi, nulla più che la buona educazione.
E però, avercene, di questi tempi...

La seconda: un poliziotto fuori servizio si accorge che un passeggero del vaporetto ha una preoccupante perdita di sangue a una gamba. 
Se ne preoccupa, si alza e lo aiuta, forse salvandolo da un possibile dissanguamento. 

Sarà che notizie di cronaca cittadina così non è che se ne leggano molte, ma per contrasto mi hanno ricordato che in un paese non massacrato dalle emergenze (dei "profughi, delle pensioni, delle abitazioni, dei conti dell'Inps, della scuola, ecc), queste notizie nemmeno farebbero notizia.
Magari nei quotidiani locali si sparlerebbe delle strade da asfaltare, dell'omicidio di ferragosto, del caldo africano e delle vacanze.
E d'inverno del freddo, della neve signora mia, del costo del riscaldamento e del vin brulèe.

Ho riscoperto l'acqua calda in autunno: leggere buone notizie ti cambia la percezione della vita.
Da domani, solo cronaca rosa, gossip e notizie che fanno bene all'umore e ti fanno pensare che forse...
Basta morti , basta disastri, basta violenza e, soprattutto, basta politica: voglio morire ignorante e felice.

lunedì 11 settembre 2017

16 anni dopo, Shiva il Danzatore

"Hanno buttato giù le Torri del World Trade Center di New York. Non l'hai saputo?".

Solo in quel momento, catturata più dal tono della voce che dalla notizia, mi fermo e chiedo di cosa stesse parlando, il collega. 
Non avendo idea se parlasse di qualche film andato in onda alla tv poco prima di arrivare al lavoro, o cosa...
Mi spiega che no, alla tv facevano vedere gli impatti degli aerei sulle Torri Gemelle, che queste venivano giù come fossero castelli di sabbia, che dentro le Torri c'erano migliaia di persone, che venendo giù le Torri come polvere investivano di detriti anche quelli che sotto scappavano in uno scenario apocalittico.
La sera alle 8 avevo una lezione di yoga:" Non guardate quelle immagini, non fatevi condizionare da ciò che vedete. Ho parlato nel pomeriggio con un maestro indiano che vive negli Stati Uniti: dice che ciò che è accaduto, ciò che sta accadendo, è una bugia, un incantamento delle coscienze che non corrisponde alla verità, che è necessario attendere a mente lucida per conoscere un giorno la verità".
Cinica e pacifista a modo mio, ho faticato a capire il senso di ciò che mi stava dicendo, la mia insegnante-guru.
Ho pensato anzi:" Sì, ok, ora ci raccontiamo che è Māyā, il mondo delle illusioni, che tutto ciò che nasce è destinato a morire e pertanto nulla deve turbarci perché è Lila, il gioco dell'Universo, e tanto vale staccarsi dall'illusione del contingente e rilassarsi con una bella seduta di yoga".
Insomma, nulla di tutto ciò è reale, quindi distraiamoci.
Ancora non avevo visto una sola immagine alla tv e già qualcuno mi metteva in difficoltà su cosa avrei dovuto pensarne quando le avessi viste: da una parte l'autentico scossone emotivo del papà di un bambino, alla segreteria del centro sportivo dove allora lavoravo, che per primo mi aveva comunicato un fatto di cui non comprendevo il senso, e poi l'agitazione preoccupata del responsabile impianto, che in qualche modo aveva scosso la mia imperturbabile concentrazione sul lavoro più per come ne parlava che per ciò che mi andava dicendo. 
Dall'altra, la mia guru spirituale che mi premoniva di non credere a ciò che avrei visto, qualcosa che un guru ancora più lontano e avvolto in un'aura di fantomatico misticismo aveva detto a lei, mi provavano a convincere che nulla era come sembrava, così che avrei dovuto interpretare la cosa come una sorta di magheggio il cui scopo era precipitare il mondo in uno stato di illusione fantasmagorica.
Solo il giorno dopo vidi per la prima volta le immagini in tv, e poi per giorni non riuscii a staccarmene, rapita da un senso di irrealtà che mi precipitava emotivamente in uno dei peggiori incubi che la mia mente avesse potuto fin lì concepire (e ne so concepire di tremendi).
Dei consigli della mia guru francamente non ne avevo più mempria già dopo un quarto d'ora di tv, tanta era la "fame" di capire davvero che stavo incollata lì, immobile e stordita, a cercare qualcosa che non potevo capire davvero.
Negli anni, da allora, ho visto quintali di filmati, lette migliaia di parole, scavato nella rete ogni qual volta emergeva un nuovo dettaglio, una nuova ipotesi, l'opinione di qualche esperto, di qualche studioso, di qualche giornalista fuori dal gioco e che per anni ha continuato a scavare e ad analizzare fotogramma per fotogramma quelle immagini, per provare a dare un senso all'assurdo.
Oggi, 16 anni dopo, l'idea che me ne sono fatta è perfettamente aderente allo strampalato consiglio arrivatomi dopo poche ore via guru americano: nulla di ciò che avevo visto alla tv era ciò che sembrava, tranne i morti.
Quelli, come poi ho imparato a capire, sono sempre veri.
Vere sono spesso anche le scenografie, i "fondali", la composizione teatrale della rappresentazione.
Falsi come il demonio i racconti ufficiali sui fatti, veri quanto può esserlo una commedia, falso quanto può esserlo ogni opera di fantasia a teatro.
Tutto, ora mi è più chiaro di sempre, è davvero māyā: parole, pensieri, racconti, immagini, distraggono la mente dalla realtà oggettiva, al punto che questa arriva a confondersi, oscurata com'è da tutto ciò che non sono i fatti osservati senza frastornarli di pensieri o giudizi.
Illusionismo, inganno, māyā.
Ciò che consola è la certezza che nel gioco di Lila danza Shiva, il creatore e il distruttore di ogni cosa.
Come ben ne descrive la simbologia Heinrich Zimmer in Myth and Symbols in Indian Art and Civilation:
"I suoi gesti sfrenati e pieni di grazia evidenziano l'illusione cosmica; l'aleggiare delle sue braccia e delle sue gambe e l'ondeggiare del suo tronco producono - anzi sono - la continua creazione -distruzione dell'universo, dove la morte è in perfetto equilibrio con la nascita, l'annichilamento è l'esito del venire in essere"
Sulla simbologia della danza di Shiva, Coomaraswamy scrive più preciso in The dance oh Shiva:
 "I vari significati della sua danza sono espressi dai particolari di questa figura complessa e vivida. La mano destra superiore della divinità tiene un tamburo per simboleggiare il suono primordiale della creazione, la mano sinistra superiore regge una fiamma, l'elemento della distruzione. L'equilibrio delle due mani rappresenta l'equilibrio dinamico di creazione e distruzione nel mondo, reso ancora più evidente dalla calma e dalla serenità del volto del Danzatore, al centro tra le due mani, in cui la polarità di creazione e distruzione è dissolta e trascesa. La seconda mano destra è alzata nel segno del "non temere", e simboleggia la conservazione, la protezione e la pace, mentre l'altra mano sinistra è rivolta in basso verso il piede sollevato che simboleggia la liberazione dall'incantesimo della māyā. Il dio è rappresentato mentre danza sul corpo di un demone, il simbolo dell'ignoranza umana che dev'essere sconfitta prima che possa raggiungere la liberazione.